l’applauso è la misura del mondo

Veloce. Veloce perché devo fare le valigie, ché domani si riparte.
Ho ricevuto sollecitazioni – ed è strano, a pensarci – a scrivere qualcosa sulla manifestazione di qualche giorno fa.
In realtà, davvero sto cercando di capire fino in fondo come la penso, su quella manifestazione.

Da una parte, l’inconsistenza, l’afasia, e la preoccupante atonia muscolare del Pd mi sconcertano moltissimo; dall’altra, non riesco – al di là di qualche singola presa di posizione che magari condivido – a trovar consonanze con Di Pietro, che continuo a ritenere un uomo di destra, né con Grillo, di cui non approvo il tipo di partecipazione alla vita pubblica (ma mi rendo conto che varrebbe la pena spenderci qualche parola in più).

Stamattina ho letto il pezzo di Michele Serra sulla Repubblica di carta, e ho capito che almeno su una cosa Serra ha dato voce anche a me.
A proposito di “Cuore”, Serra scrive che “del ruolo di supplenza della satira, in termini di opposizione vera, (…), già si discuteva allora”, e che a causa della crisi di rappresentanza già in quegli anni “ci trovammo a fare i conti con l’ambigua, seducente tentazione di sorvolare sugli ambiti e per caricarci in spalla (…) una fetta (indebita) di rappresentanza politica. Lo svuotamento della politica già apriva di suo ampi varchi: e dove si creano vuoti si è indotti quasi fisicamente a occuparli. Il vuoto attrae e trascina”.

Se penso a cos’è accaduto ai migliori fra i miei colleghi – e sto parlando di quelli sconosciuti, mica dei giornalisti famosi; di quelli che si occupano delle piccole cose, delle cronache locali – devo dire che Serra ha assolutamente ragione. Nel vuoto della politica, i migliori fra i miei colleghi – drammaticamente consapevoli che non si poteva più liberamente lavorare per spiegare la complessità della realtà, e si poteva solamente fare da amplificatori di ciò che altrove altri avevavno deciso – hanno avuto due scelte: o il silenzio totale, l’obiezione di coscienza, la scomparsa dalla professione (e quanti, quanti l’hanno scelta!), oppure l’occupazione dello spazio dell’editorialista: di colui che smette di scrivere di cronaca e, dopo aver riflettuto, esprime una posizione.
Per supplenza, come dice Serra.
Per disperazione, aggiungo io.
Per l’incapacità di rassegnarsi al niente che è diventata la nostra professione.

“Avessimo fatto il partito di Cuore“, scrive Serra, “ci saremmo meritati parecchi titoli di giornale e una cospicua manciata di voti (…). Oggi, la confusione degli ambiti, (…), la virtualità delle mansioni e delle funzioni (la Carfagna ministro non è uno scandalo sessuale, è un obbrobrio politico), insomma la distruzione degli ambiti e dei loro linguaggi specifici è uno degli ingredienti più vistosi e deteriori della società dello spettacolo. Questo rende la tentazione della politica ancor più irresistibile, perché a differenza delle mele e delle pere che le nostre maestre elementari ci spiegavano di non poter sommare, gli applausi si sommano facilmente anche quando sono mele e pere”.

“Voterei volentieri per Guzzanti o per Grillo, (…), se solo avvertissi che gli ambiti non sono confusi (la confusione è il conformismo della nostra epoca), che il linguaggio è congruo, sta insieme, rende l’idea. Perché uno dei possibili antidoti al casino nel quale viviamo immersi è appunto questo: provare disperatamente a ristabilire ambiti e competenze”.

Su tutto questo, sono perfettamente d’accordo.
C’è un solo punto su cui dissento: al punto in cui mi sento, io non riesco a coltivare il benché minimo ottimismo. Ristabilire gli ambiti e le competenze è diventato impossibile, radicalmente impossibile.
E questo blog ne è, purtroppo, minuscola prova.

Giorni fa leggevo da qualche parte che il celebratissimo architetto Fuksas diceva che al giorno d’oggi, se non fai un edificio di almeno duecento metri, nessuno ne parla.
Il valore di un edificio, insomma, non sta nella sua eccellenza architettonica neppure per Fuksas.
No.
Sta nella quantità – per dirla con Serra – di “applausi” che mettono insieme le mele dell’edificio e le pere della fama.
Quale speranza ci può mai essere?
Siamo seri: nessuna. Davvero…