cossiga, gilioli e la censura preventiva


Mi capita solo ora di leggere il post in cui Alessandro Gilioli parla dell’intervista resa da Cossiga a proposito dell’occupazione delle università e delle scuole.
Nel post scriptum Gilioli scrive questo:

Per precisione e correttezza: nella versione cartacea pubblicata dal Qn Cossiga non dice «picchiarli a sangue», ma solo «picchiarli»; e non c’è nemmeno la parola «massacrarli». La versione che ho citato qui sopra era quella pubblicata da Dagospia. Non cambia molto nella sostanza, ma mi è stata fatta notare la discrepanza e quindi è giusto precisare. Probabilmente la versione pubblicata da Dagospia era quella originale dell’intervista, a cui Cossiga ha poi fatto delle correzioni nei virgolettati rileggendoli (di solito succede così nelle interviste ai politici).

Adesso.
Non è per fare la verginella o la moralista: ma il fatto che «di solito» da qualche parte succeda così nelle interviste ai politici non solo non significa che succeda così dappertutto, ma nemmeno che l’ottenimento del placet sul testo sia una cosa bella o anche solamente normale.

A me hanno insegnato a suo tempo che le interviste si fanno e basta, e che l’intervistato se le legge, se ne ha piacere, quando sono state pubblicate; non un attimo prima.
Un giornalista che lavora per una testata non è un addetto stampa, e non è nemmeno il portavoce di nessuno.
A meno che non sia anche e contemporaneamente un venduto, a voler chiamare le cose con il loro nome.

E quanto al politico intervistato, beh, se non gli piace ciò che è stato scritto può chiedere rettifiche, citare il giornalista in sede civile chiedendogli il risarcimento dei danni, denunciarlo in sede penale, o anche semplicemente rovinargli la carriera ricorrendo a mezzi e connivenze molteplici e fantasiosi.

Le opzioni son parecchie, mi pare.
Non mi pare il caso di offrirgli anche l’opportunità della censura preventiva.
Ma se ai miei colleghi sembra normale, delle due l’una: o loro lavorano in un giornale ma in realtà sono addetti stampa di qualcuno (anche in modo inconsapevole e perciò nemmeno retribuito, magari); oppure io sono completamente fuori sincro.
Tipo Ghezzi.

Mi sa che sono Ghezzi.
Forse un po’ più simpatica però.

p.s. La foto di Cossiga, che mi sembra bellissima, è presa da qui.