una garetta di bambini per far titoli sui giornali locali

A me le classifiche sulla qualità della vita m’hanno sempre insospettito.
Bisognerebbe conoscere uno a uno gli indicatori presi in esame; bisognerebbe vedere qual è l’incidenza relativa di ciascun fattore rispetto a ciascun altro; bisognerebbe sapere quali siano i preconcetti – gli inevitabili preconcetti – con i quali i ricercatori si sono accostati alla materia.

Ma soprattutto, forse, bisognerebbe avere fiducia nella possibilità di quantificare – per quanto in modo approssimativo – e di conseguenza gerarchizzare ciò che al mondo c’è di meno misurabile: la qualità, certo; ma non solo: anche la «percezione» della qualità.
E poi bisognerebbe capire quale tipo di società, di città, di mondo, di vita si ha in mente quando si redige una simile classifica.

Verona, per esempio, risulta undicesima su 103 città.
Sì, va bene: l’anagrafe funziona; gli ospedali vanno; per la strada non c’è immondizia.
Però i rapporti personali sono estremamente difficili e brutali; i trasporti pubblici ridicoli; le polveri sottili ci sommergono; l’inclusione sociale al grado quasi-zero; il grado di «copertura» del potere sulla città quasi totale.

Magari tutte le città che nella graduatoria di ItaliaOggi vengono dopo Verona sono luoghi dove ci si manda affanc*** per strada, dove se vai a suturarti una ferita e te ne torni a casa con la leptospirosi, e dove i mendicanti vengono uccisi con somministrazioni di polonio.
Però se anche questo fosse vero – e ne dubito – resta vero anche che stare bene in una città non è solo il risultato di fattori oggettivi e misurabili; è anche la conseguenza di una sensazione di accoglienza, di calore, di vicinanza con il prossimo, di apertura degli orizzonti.

Leggete i pezzi che i siti e i giornali dedicano a questa classifica; e poi ditemi se viene detto qualcosa di qualitativamente significativo.
Torino perde posizioni, Napoli sprofonda, Massa Carrara passa dalla icsesima posizione alla ipsilonesima.
È una specie di telecronaca del Giro d’Italia dalla quale non si riesce a ricavare uno straccio di indicazione neanche a volerlo pagare: «Al top della lista c’è Siena», scrive Repubblica, «che si attesta come la città in cui si sta meglio per servizi, lavoro, ambiente, sicurezza, mancanza di disagio sociale, popolazione, tempo libero e tenore di vita».
Sicurezza?
Mancanza di disagio sociale?
Popolazione?
Ma cosa vuol dire?

E, a proposito. Il Corriere titola in home page «Cala la qualità della vita in Italia: adesso si sta peggio che nel 2007». La Repubblica «“In Italia si sta peggio”. Allarme qualità della vita».
Domanda (lo so: cattiva perché si fa beffe del lavoro altrui): ma c’era veramente bisogno di un’indagine, per rendersene conto?