noi non possiamo capire

benedetta_tobagiHo letto il pezzo che Roberto Saviano ha dedicato oggi su Repubblica al libro di Benedetta Tobagi, la figlia del giornalista del Corriere della Sera ucciso dalla lotta armata.

Il libro si intitola «Come mi batte forte il tuo cuore», esce domani e voglio leggerlo.

Ogni volta, io affronto la lettura delle cose che scrive Saviano con il fermo intento di trovarci cose belle, di capire con il cuore quant’è bravo, di amare col cervello le sue parole.

E fino a un certo punto della lettura, in genere, ci riesco.

Mi dico «ehi, hai visto? Finalmente hai capito, adesso. Senti com’è vero, profondo e autentico questo sentimento. Guarda com’è intuitivo Saviano, come capisce. Senti com’è grande il suo cuore».

Poi trovo qualcosa che fa sfrizz-sfrizz, cioè il rumore di un pezzetto di ferro che senza lubrificante si strofina contro un altro pezzetto di ferro.

Per esempio, oggi ho trovato questo:

Nelle pagine si vede il tormento di una donna che lavora su se stessa e si ripete che deve capire, da storica, le ragioni che hanno spinto questi ragazzi a uccidere «per dimostrare di essere vivi».

Poi a volte cede. Non ce la fa, vorrebbe gridare: ma vi rendete conto che cosa avete fatto.
Vorrebbe andare a vederli uno per uno ora divenuti cattolici di Comunione e Liberazione. O, come i capi di Prima Linea, profeti vegani dell’impegno sociale.

E dopo aver massacrato, oggi ripetono, con le facce contrite, la solita omelia del «voi oggi non potete capire».

Invece il libro di Benedetta Tobagi dimostra che noi possiamo capire; che anzi abbiamo capito benissimo cosa hanno fatto questi terroristi che volevano mutare il mondo e l’hanno peggiorato, distratto l’attenzione da quello che combinava la criminalità organizzata e la politica corrotta, ucciso la parte migliore del paese.

Leggo queste cose, e mi domando.
È possibile, è veramente possibile, che Saviano decontestualizzi e destoricizzi il tempo della cosiddetta lotta armata in Italia prelevandone i fatti e ricollocandoli in una nuova geografia contestuale solo perché quella nuova geografia piace a lui e gli suona di più?

Naturalmente, non intendo dire che la lotta armata ha migliorato il mondo: su questo Saviano ha ragione da vendere. La lotta armata ha peggiorato il nostro mondo.
Ma come si possa sostenere che la lotta armata «ha distratto l’attenzione da quello che combinava la criminalità organizzata e la politica corrotta» è una cosa che mi sfugge completamente, in modo radicale.

Sono sicura che l’aiuto di categorie interpretative nuove o poco usate può essere di fondamentale importanza per la comprensione del reale, tanto più quando lontano nel tempo.
Ma se Saviano sta dicendo che alla lotta armata faceva difetto la comprensione di «quello che combinava» la criminalità organizzata, io mi aspetto qualche parola in più di argomentazione.
Perché sennò quello che mi viene da credere è che se non ci fossero state le Br e i loro succedanei, la mafia, la camorra, la ‘ndrangheta e la sacra corona unita avrebbero avuto più possibilità di essere sconfitte.

Mi aspetto che mi spieghi, visto che l’articolo tratta esattamente di questo, perché adesso che non c’è lotta armata l’attenzione verso «quello che combina» la criminalità organizzata è ugualmente carente e apparentemente poco produttiva.

Quanto al fatto che la lotta armata abbia distratto l’attenzione da «quello che combinava» la politica corrotta, francamente questo mi sembra un po’ ardito: non era la politica (corrotta) il suo primo bersaglio?
Non aveva natura politica, la lotta armata?
Si poteva – si doveva? – certo non condividerla, allora come oggi; ma non credo che si possa in alcun modo sostenere che non avesse obiettivi politici; che non si ponesse il problema di un rovesciamento della politica, anche di quella corrotta.

Ridurre quella stagione alla sequenza di omicidi messi in atto da gruppi di ragazzi con motivazioni individuali, capaci solo – oltre che di straziare il cuore di tutti gli affetti delle loro vittime, naturalmente – di distrarre «l’attenzione da quello che combinava la criminalità organizzata e la politica corrotta» non mi convince.
È chiaro che ciascuno di loro le aveva eccome, le sue motivazioni individuali; e penso anche che sia possibile interpretare le loro azioni in chiave psicoanalitica.

Che la figlia di una vittima del terrorismo abbia la propria ottica, che contestualizza secondo coordinate sentimentali oltre che storiche, non è solo normale: è un’autentica ricchezza.
Che altrettanto faccia chi analizza e spiega è indizio di un cuore empatico, ma anche di un po’ di naiveté.

E a volte la naiveté non mi convince. Forse perché mi sembra quasi che dia ragione a chi – ricollocatosi in Comunione e liberazione, o trasformatosi in «profeta vegano dell’impegno sociale» – ripete (con quanto irritante disprezzo si vuole, per carità) «voi oggi non potete capire».