l’ocse de noantri (torna la democrazia della paletta)

Io non vorrei mai confondere la lana con la seta, però vorrei veramente chiedere che differenza ci sia – a livello istituzionale, in termini di rispetto dei ruoli (e dei sensi, mi vien da dire) istituzionali – fra un’iniziativa come questa che si chiama «Siamo tutti osservatori» e una ronda qualunque, leghista o fascista (purché non armata, è ovvio).

Intendiamoci: se il gruppo in questione, raccogliendo l’ennesimo invito ad alzare la paletta dello Zecchino d’Oro in nome di un peculiarissima idea di democrazia che in questo periodo piace un casino a un sacco di gente, intende promuovere l’autocandidatura dei cittadini a presidenti di seggio, rappresentanti di lista o scrutatori, tutto rientra nella normale dinamica istituzionale.

Ma io – che magari, invece, mi sbaglio di grosso – non ho letto da nessuna parte che l’obiettivo dell’appello sia il reclutamento di scrutatori, presidenti e rappresentanti di lista.
Mi pare invece di capire che fabbricando questa specie di Ocse de noantri i promotori intendano dare vita, più che a una strategia politica o anche solo operativa, a una petizione di principio, esprimendo una specie di bisogno di essere presenti, di sottrarsi alla sensazione di inutilità, di trovare qualche via breve per esserci, per illudersi di fare comunità.

La solita petizione di principio, aggiungerei; quella che ti fa sentire di aver onorato l’obbligo morale di aver fatto «qualcosa», e quando uno ti chiede «ma cosa, esattamente?» tu puoi rispondere «non so: qualcosa! Meglio qualcosa che niente, no?».

Mi spiego. Voglio essere chiara.
Se io mi domando quale sia la differenza istituzionale fra «siamo tutti osservatori» e le ronde leghiste è perché in realtà la differenza politica non mi sfugge affatto.


Mi è del tutto chiaro che si tratta di un’iniziativa che, all’interno di un quadro di fiducia che molte persone tributano all’istituto della democrazia diretta, mira a far sentire il fiato politico addosso a una parte politica.
E l’intento politico potrei anche condividerlo.

Se non fosse, però, che non c’è bisogno di assumere l’identità congiunturale di «osservatori fai-da-te» per «denunciare», come si legge sul testo dell’appello, «tutti i tentativi di inquinamento del voto».
Ogni cittadino italiano è tenuto a comunicare alle autorità qualunque reato di cui venga anche casualmente a conoscenza.
Denunciare è comunque un nostro dovere. Un dovere di ciascuno individualmente preso.
L’ordinamento lo prevede già.

Ma istituzionalmente parlando (chiedo scusa per la locuzione orribile) mi domando: che cos’è questa cosa?
Gli anti-berlusconiani possono farlo – denunciare, agire – in modo organizzato e diventano meritori difensori della democrazia, e i leghisti non possono organizzarsi le loro ronde?

Eppure – istituzionalmente, e non politicamente – è la stessa cosa.
In entrambi i casi, i cittadini si organizzano per denunciare la commissione di ciò che considerano reato; per carità: la differenza la fa il loro diverso punto di vista politico, è ovvio; ed è per questo che, lo ripeto, politicamente sono cose diverse, anche se l’ordinamento rubrica l’illiceità in modo il più possibile «neutro».

E allora, come ci permettiamo di dire che la Lega non può fare le ronde?
Dall’alto di quale coerenza?

Il problema, infatti, non è politico, ma è istituzionale.
E sta qui: il posto di chi prendiamo, noi, assumendo l’onere di organizzarci per «vigilare»?
A chi facciamo supplenza, organizzandoci?

La mia risposta è che facciamo supplenza a quei pezzi di istituzioni che, per motivi politicamente diversi a seconda della parte politica a cui ci sentiamo più vicini, non ci piacciono più.

Non riusciamo più (perché in effetti è tremendamente difficile, e questo va detto) a trovare il buco attraverso il quale far transitare uno straccio di azione politicamente costruttiva, progettata, capace di darsi obiettivi e di guardare lontano, e – alzando palette con cui dare i voti ai nostri nuovi capipopolo e brandendo cartelli e simboli con «sì!» o «no!» – ci accontentiamo di annichilire le istituzioni distruggendole, ignorandole e depauperandole.
Esattamente come fanno coloro contro i quali ci scagliamo: i leghisti delle ronde, appunto; o i berlusconiani dei decreti interpretativi.

Come se il problema di ricostruire le istituzioni e di ridar loro un senso non fosse nostro – istituzionalmente non meno che politicamente – ma di chissà chi.

Un altro passetto in avanti verso la demolizione della democrazia formale, in nome della pretesa supremazia della sostanza.

Non mi pare il caso di andarne così fieri.