i diritti di uno straniero senza mutande

Ieri sera mio cugino è andato di corsa a prendere il pane al supermercato, verso l’ora di chiusura.
Il sorvegliante del supermercato (un ragazzo nero) ha fatto spogliare nudo davanti a tutti, facendogli togliere anche le mutande, un signore straniero che sospettava – ma alla luce degli sviluppi successivi, i sospetti sono sembrati infondati – avesse rubato qualcosa.

L’uomo che è stato fatto spogliare era probabilmente ubriaco, o poco presente a se stesso.
In due – solamente in due, fra tutti quelli che affollavano il supermercato – hanno tentato di bloccare il sorvegliante, consentendo al cliente – perquisito senza mandato, naturalmente – di ricollocare al loro posto le mutande che erano già scese fino alle cosce.

Se domandiamo alle persone che abitano nella mia città chi, in questa vicenda, abbia torto e chi ragione, temo che il kapò (non uso il termine a caso) vincerebbe la sfida anche se nero (non sono io, eh, che dico «anche se nero»).
Sarà anche nero – direbbero i miei concittadini – ma s’è integrato.
Prova più evidente della sua integrazione in questa comunità, in effetti, non poteva fornirla.

Se i lavoratori dell’ospedale si lamentano perché non possono posteggiare all’ospedale e la direzione dice loro che, eventualmente, potranno avere delle bici gratuite (delle bici!!!) per fare il chilometro fra il parcheggio e la sede di lavoro, i miei concittadini scrivono, nei commenti ai siti, che questa gente vuole solo privilegi – sì: privilegi – perché quelli normali non hanno mica il posteggio, al posto di lavoro.

La logica livida e miserabile è sempre quella del «se sto male io devi stare male anche tu».
Nessuno che dica, che so, «se stanno meglio loro, allora voglio stare meglio anch’io».
No.
Siamo feroci, bestie feroci, pronte a sbranare quell’eccedente porzioncina di carne marcia che ci sembra sia toccata alla ciotola di qualcun altro e non nella nostra.
Abbiamo la mania di persecuzione, siamo ossessionati dal «perché io no e tu sì».
Vorremmo che tutti stessero male, che i diritti che sono stati tolti a noi venissero tolti a tutti, e quelli che ancora ce li hanno o anche solo hanno la dignità di rivendicarli osiamo chiamarli privilegiati.

È la Lega, signori.
È la Lega che fa la povera vittima per il fatto che il Coni ha deciso di candidare Roma e non Venezia.
È la Lega che prima fa la vittima, poi minaccia e poi attacca.
E non per fare avere a qualcuno dei diritti.
Questo mai.
Per toglierne ad altri, casomai. Con l’argomento che quelli non son diritti, appunto, ma privilegi.

E poi quell’altro figuro ha il coraggio di parlare di «invidia sociale».
Come se non l’avesse voluta lui.
Come se non l’avessero voluta i suoi amici della Lega a cui non par vero che – dopo decenni e decenni di subalternità culturale – adesso anche la loro flatulenza sia ascoltata, presa in considerazione, seguìta.
Che la loro scoreggia faccia tendenza.

Voglio scendere.