la violenta (meta)fisica del lavoro

Segnalo – qui – una riflessione portentosa, realmente illuminante, di Massimiliano Nicoli, intitolata «Il fascismo del manager».

Ne cito quattro passaggi, ma per favore: dedicate un po’ di tempo alla lettura integrale dell’articolo, linkato qui sopra.

Ora l’impresa è condannata a realizzare il suo eterno sogno, il sogno (fascista) dello stato di dominio, a partire dall’occupazione della spontanea volontà del lavoratore. E siccome la via di accesso a quella volontà deve aggirare il corpo per attingere direttamente al non-luogo dell’anima, laddove di anima ce n’è poca, come nel lavoro materiale di fabbrica, si tratterà di produrla.

Tanto per cominciare, si squalifica la materialità del lavoro avvolgendolo nella pellicola immateriale della “qualità”, del “miglioramento continuo”, della “comunicazione” e del “lavoro di squadra”, del “problem solving”, dell’“orientamento al risultato” e della “formazione permanente”.

Poi si costruisce una “cultura” aziendale integrata, collaborativa e a-conflittuale, fatta di mission e vision codificate in linguaggi dal registro profetico e suggestivo, per fare appello all’emotività, alla sfera intangibile dei valori, del sogno, delle immagini associate al marchio aziendale o alla merce prodotta.

Il lavoratore diviene un’impresa in sé in una società di unità-imprese, una società in cui il modello manageriale penetra nelle trame più minute, fin dentro il cuore della soggettività, nel foro interiore del rapporto di sé con sé, per fabbricare ciò che è stato definito “enterprising subject”.

Come praticare il rifiuto del dominio della forma-impresa nel lavoro immateriale, senza corpo, in cui il management dell’anima dispiega la propria potenza omologante è la sfida politica da raccogliere per contrastare il fascismo quotidiano del capitale nei luoghi di lavoro.

Esercitare il massimo di sospetto per tutte le metafisiche del lavoro immateriale, guardare di traverso le maschere del desiderio su cui fanno leva le pratiche manageriali di gestione dell’anima, ripartire dalla radicalità dei bisogni sociali, dal corpo vivente, dalla sua fragilità e dai suoi piaceri.