esclusione

sola_da_mcdonalds_a-_limerickStanotte ho sognato che una coppia di amici a cui voglio bene mi invitava alla cena di una qualche organizzazione. Poteva essere una cosa tipo i Lions, o il Rotary.
Io andavo per fare un piacere a loro, e mi mettevano a sedere a un tavolo coi bambini, coi ragazzi.
Il tavolo era all’aperto.

Alla cena seguiva qualcosa di fiaccamente mondano: conversazioni sfilacciate in stanze diverse di una casa di campagna affrescata, in alcuni luoghi troppo tirata a nuovo e in altri luoghi, invece, molto cadente.

Visto che ero stata sistemata al tavolo coi bambini e io coi bambini non avevo poi tantissimo da dire, ho passato tutto il tempo di questa serata cercando di dare meno fastidio possibile a chiunque, cercando di scomparire alla vista: una modalità che mi è perfettamente propria anche nella vita diurna, allorché mi rendo conto che fra me e il resto delle persone non c’è storia.

Verso la fine della cena – quando già questo casale rurale si era trasformato in un albergo che credo di avere già sognato altre volte, tutto marrone e bordeaux, con bagni strani, collettivi, simili a ciò che ho visto delle docce dei campi di sterminio – il capo di questo sodalizio mi avvicina tirandosi su i pantaloni come se la cintura che aveva in vita non gli fosse servita e niente, e certamente non a evitare quel gesto così volgare.

«Guarda che voto contro, sai», mi dice.
Io non capisco.
«Voto contro di te, adesso. Tu non entri. Per tutta la sera non hai detto una parola, non hai cercato di metterti in relazione con nessuno. Non ti faremo mai entrare in questo gruppo».

Io ho provato a ricordare se io sapevo che quella cena avesse l’obiettivo di scrutinarmi per valutare il mio inserimento in quell’organizzazione alla cui cena io pensavo di essere andata solo per fare un piacere ai miei amici.
Ma anche così, anche sapendo che a me di entrare in quell’organizzazione non interessava niente, ho detto a quest’uomo che erano stati loro a trattare male me emarginandomi per tutta la sera, e non io a trattare loro con aria di sufficienza, e che – vistami ignorata – ho pensato che fosse serio cercare di tenermi il più possibile in disparte.

Però essere estromessa da qualcosa in cui non avevo mai pensato di entrare mi ha fatto piangere.
Mi sono sentita male.

Penso che per me Verona sia come l’«organizzazione» del sogno.
Penso che questo sia stata la modalità in cui mi si è sedimentata dentro l’esperienza del mio vecchio lavoro.
Cerco di capire, adesso, cosa significa questo senso di esclusione voluta/temuta/causa di dolore, e come lo posso affrontare.