il primo bacio

«E ti senti in colpa?», le chiese lui.
«Sì, parecchio», rispose lei.
«E allora perché non torni indietro?».
«Perché non posso, perché è giusto così».
Nina aveva questa maniera di chiudere le discussioni senza dare nessuna spiegazione, però quando era necessario dare delle risposte non svicolava mai.

***

velluto di setaBionda, alta, secca secca. Faceva fatica a pensarsi come una femmina. Non perché non fosse certa di esserlo, ma perché il suo corpo rifiutava di aiutarla.

Si guardava allo specchio e vedeva sempre qualcosa di troppo, o di insufficiente. Troppo alta, era. Quel metro e settantacinque. Quei capelli fino a metà schiena. Quegli spigoli troppo vivi.
E quel busto, Gesù; quel busto così piatto.

Nina andava alla scuola d’arte.
Modellava nella creta piccole figurine. Una volta a Capua, in gita con la scuola, aveva visto le Tanagrine. Tutti notavano la finezza delle pieghe delle loro vesti. Lei non riuscì a vedere altro che la leggera curva del seno.
Le sue statuine erano esserini arancioni rotondi, floridi, felici.

Quando David si era seduto su quella sedia per la sesta volta (o forse era la settima), coperto da un lenzuolo bianco che il prof gli aveva drappeggiato addosso fino alle caviglie, Nina sapeva che la prima domanda che si era fatta era ma ce le avrà, le mutande?

«Sai? Oggi è venuto a scuola un modello», aveva detto a Gino quella sera. Lei e il suo ragazzo si sentivano tutte le sere da sei anni, quattro mesi e dodici giorni.
«Un modello?», le aveva chiesto lui. «Figo?».
Nina s’era messa a ridere. «Figo? Ma tu hai voglia di scherzare! Lo sai che il prof è ossessionato da quella cosa che chiama la normalità!».
«Tipo che se vengo io il tuo prof dice che sono perfetto, insomma…».
«Tipo», aveva risposto lei.

Ma non gli aveva mica detto che l’unica cosa che aveva guardato in David erano stati gli occhi.
Velluto lucido marrone, erano. E le ciglia erano tende di seta che si aprivano su un mondo intero.

Alla fine, di David le era venuto fuori un modellino alto una trentina di centimetri, decisamente più grande delle dimensioni abituali delle sue donnine rotonde.
L’aveva colorato di verde, di fucsia, di arancione.

«Nina», aveva detto il prof. «Ma com’è questa storia, qua, spiega. Com’è che David è più lungo delle tue statuine?».
La classe aveva riso. Nina si era sentita sprofondare. Ma nelle parole del prof c’era qualcosa.

«Hai un vivissimo senso del colore», le disse David alla fine dell’ultima lezione.
Lei non si aspettava che lui le rivolgesse la parola.

«Sicché non sei impressionato dalle tue dimensioni», gli rispose.
L’ironia? Io fare ironia su questa cosa? «Mmm», fece lui.
Oddio, sono ambigua, pensò lei. Oddio: io so essere ambigua.

David guardò basso, le marmette verdine del pavimento dell’aula di ritratto dal vero.
Me lo sono giocato, si disse Nina.

Lui rialzò gli occhi, e lei si sentì vista.
«Perché dopo non andiamo a pranzo?», le chiese.
La sventurata rispose.

Fu davanti a un piatto di prosciutto affumicato, mentre lui le parlava dei suoi anni svedesi, che lei lo guardò così da vicino come non l’aveva mai visto.
Non si era accorta di essergli andata così vicina, di essersi spinta così in là.
Vide il velluto, vide le tende di seta.
Sei bellissimo, pensò.

«Io mi sono innamorata di te», gli disse.
E quello che venne dopo fu il primo bacio della storia dell’umanità.

(Scritto il 4 giugno 2016, trovato adesso)