livori e propositi

imagesQuesto post nasce da una questione che ha a che vedere coi miei pochi propositi per il 2017.

Ad una certa altezza della lista dei propositi compare infatti questa cosa: quest’anno non permetterò più a nessuno di trattarmi con sufficienza, condiscendenza, arroganza, presunzione, maleducazione. Quest’anno non permetterò a nessuno di rivolgersi a me senza grazia, senza rispetto.

Succede che a commento di un post in cui un contatto Facebook sollevava alcune sue perplessità sul doppiaggio del personaggio di un film, mi trovo a scrivere questo:

I doppiatori devastano l’immaginario.
Omologano le voci, sono sempre gli stessi per tutti i film.
Non si possono ascoltare. Hanno quelle voci da “Pedro, bevi qualcosa? Vuoi bere qualcosa, Pedro?” con cui ci faceva ridere Anna Marchesini.

E succede che un commentatore, con cui un tempo ci fu scambio virtuale di pareri, commenti questo:

Sul tema io ho opinioni che variano in base alle circostanze, ma possiedo almeno una certezza: il doppiaggio sarà anche “un impermeabile sotto la doccia” [citazione di una citazione che Helena faceva nel suo post originario], ma senza impermeabile, senza doppiaggio, viene spesso meno anche l’acqua per la doccia.

L’amabile e diffusa ironia sui doppiatori, quella che ad esempio colgo tra le parole di Federica, contiene infatti una premessa implicita: a me il film arriva anche nella lingua di Shakespeare e Topolino“, cosa che per la maggior parte delle persone, con tutta evidenza, non è.

Prima di tutto perché hanno scarsa dimestichezza con le lingue straniere – mica tutti i film sono in inglese, tra parentesi – e poi perché la lettura dei sottotitoli riduce la sospensione dell’incredulità e il coinvolgimento emotivo, che nel cinema sono disposizioni decisive per generare appagamento – in questo cinema e letteratura sono molto diversi, e le emozioni primarie passano solo a cinema, con i sottotitoli che virano l’esperienza verso un ibrido letterario.

Aggiungo, infine, che almeno una persona su cinque (tra cui io) i sottotitoli non riesce proprio a leggerli, per seri o faceti problemi visivi. Insomma, che bella invenzione la doccia, ma anche gli impermeabili…».

Questa replica mi ha sulle prime molto seccata, tanto che ho risposto «XYZ caro, fino a che riesco a leggere i sottotitoli preferisco le voci degli attori veri, Topolino o no.
La spocchia di chi pretende di dar lezioni di modestia a volte dà proprio fastidio».

Dopo, ho capito anche esattamente dove questo commento certamente in molta parte condivisibile mi irrita fin nelle midolla.

Qui: il mondo delle frequentazioni virtuali non ha la minima idea della storia delle persone con cui interagisce, e cionondimeno pretende di averne un’impressione abbastanza chiara da poter interagire con loro senza alcuna cautela.

Da nessuna parte, per esempio, avevo scritto che il film in lingua originale posso vederlo perché conosco «la lingua di Shakespeare e Topolino». Guardo film in lingua originale anche in altre lingue. Li vedo tutti in lingua originale, e tutti coi sottotitoli, anche quelli in inglese, perché ho paura di perdermi dei pezzi.

Io l’inglese l’avevo lasciato in quarta ginnasio. L’ho usato per tradurre i testi delle canzoni che mi piacevano da ragazzina, e l’ho tenuto sveglio così.

Vengo da una famiglia che non si è mai potuta permettere di regalarmi vacanze studio neanche a Macerata, e l’inglese me lo sono studiata per conto mio a quarant’anni, facendo corsi e soggiorni che riuscivo a pagarmi perché lavoravo.
La lingua l’ho imparata bene perché mi interessava moltissimo l’Irlanda, ed è là che sono andata a frequentare un master.

Chi dà a questo commentatore il diritto di fare della facile ironia sulla mia ipotetica «amabile» ironia sui doppiatori? Sul fatto che in virtù di chissà quale privilegio o figheria io conosca l’inglese mentre altri no?

Capisco la questione del non riuscire a leggere i sottotitoli, ma quella è un’altra cosa.
Ma sostenere che ciò che io – citata – abbia implicitamente sostenuto che «a me il film arriva anche nella lingua di Shakespeare e Topolino» è puro, autentico, elegante livore.

E a me il livore, per quanto elegante, ha proprio stufato.