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03.b – il mattino di pd-la tribuna di tv-la nuova ve

4 maggio 2008

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L’ESORDIENTE/ FEDERICA SGAGGIO

ATTORNO AL CADAVERE DI UN GIORNALISTA,
IL BALLETTO DEL POTERE

di Nicolò Menniti-Ippolito

Veronese, giornalista all’Arena, Federica Sgaggio va ad incrementare il numero ormai ampio di scrittori veneti. Lo fa con Due colonne taglio basso (Sironi, pp 320, €16), tra pochi giorni in libreria, un giallo ambientato nella redazione di un piccolo giornale di provincia.

«Mi piacciono i gialli ma non ho scelto deliberatamente di scrivere un giallo – racconta Federica Sgaggio – La storia è venuta da sola. Quello che avevo chiaro è che volevo raccontare le persone davanti al potere, il loro e quello degli altri, perché sono convinta che è solo vedendo come uno reagisce di fronte al potere che si comprende chi è realmente. L’omicidio, da questo punto di vista, racchiude in qualche modo l’essenza del potere e per questo è venuto fuori un libro che è un po’ un giallo, un po’ un noir».

Dunque, non scelta alla moda, neppure convinzione che il giallo sia l’unico modo di raccontare il mondo di oggi, ma semplicemente una storia che è nata così. «Sì – conferma Federica Sgaggio – dopo molti anni di giornalismo, dopo tante cose scritte con l’obbligo di raccontare la verità, una mattina mi sono seduta al computer e ho cominciato a scrivere la storia che volevo io, come mi nasceva dentro».

Ma il legame col giornalismo non è solo nella trama. «Da giornalista ti senti spesso ripetere – dice Federica Sgaggio – che il tuo ruolo è raccontare la realtà, ma dopo anni di mestiere ti accorgi che i giornalisti non raccontano la realtà: la costruiscono loro, pezzo dopo pezzo, articolo a fianco di articolo. Io ho voluto fare questo mestiere, e spero di sbagliarmi, ma la mia sensazione è questa, e da qui è nata la voglia di scrivere il libro».

Che è storia di giornali e giornalisti, come suggerisce il titolo. Il vicecaporedattore di un giornale locale viene trovato morto sul ciglio di una strada di periferia. La proprietà vuole evitare scandali, ma l’omicidio mette in moto nel microcosmo del giornale una serie di reazioni a catena, che svelano ciò che era sempre rimasto coperto.

«Ho ambientato il libro – dice l’autrice – nella realtà che conosco. Non è una città precisa, un giornale specifico: è il frutto del mio lungo vagabondare nelle redazioni di giornali di provincia, da Belluno a Parma, da Rovereto a Verona. È la storia, più ancora che della ricerca di un colpevole, di un mondo che esce allo scoperto, fatto di scandali, di sgambetti, di esercizio del potere, di intrecci emotivi».

Federica Sgaggio racconta che ad un certo punto i personaggi, come spesso accade, le hanno preso la mano, l’hanno portata dove volevano, e per questo il libro è nato in pochissimo tempo, quasi di getto, anche se poi ci sono voluti mesi per metterlo a posto.

«Rileggendolo – racconta – mi sono accorta di aver fatto delle scelte senza neppure esserne del tutto consapevole, eppure delle scelte assolutamente indispensabili perché la storia funzionasse».

Una volta finito, è iniziata la ricerca di un editore. «In realtà – dice Federica Sgaggio – non è stato molto angoscioso. Ho selezionato nove editori che mi sembravano adatti al tipo di libro. Qualcuno mi ha risposto nel giro di pochi giorni dicendo che gli piaceva molto, ma non rientrava nei loro piani editoriali. La cosa curiosa è che poi un mio amico, che non c’entra nulla con il giornalismo e l’editoria, ma aveva letto il libro, mi ha mandato un sms che diceva: “Spedisci la tua storia a Giulio Mozzi, Sironi editore, via Mercalli 14, Milano”. Siccome di lui mi fido, l’ho fatto. E dopo qualche mese, Mozzi mi ha telefonato dicendo che gli interessava e che l’avrebbero pubblicato».

Sembra una di quelle storie un po’ irreali che amano raccontare gli scrittori, ma non è così. «Il fatto è – spiega Federica – che il mio amico, mentre ascoltava alla radio Fahrenheit, ha sentito che una ragazza chiedeva se qualche ascoltatore aveva un libro di Simone Veil che lei aveva prestato senza mai riaverlo, e non veniva più ristampato. Lui l’aveva, ha telefonato, e sentito che questa ragazza lavorava in una casa editrice, le ha chiesto a chi potevo indirizzare il manoscritto. Lei gli ha fatto il nome di Mozzi, e la cosa ha funzionato. Una bella storia».