selvaggio un corno

Ho una tendenza a non credere alle verità consolidate: le ho sempre guardate da un altro lato per capire se reggevano alla prova della modifica del punto di vista.

Così, questa storia che in Africa si ritorna alle radici dell’essenzialità, che in Africa si sperimenta la vita al grado zero della complicazione sovrastrutturale, io non ho mai saputo prenderla per buona.

La sovrastruttura appartiene all’interazione sociale e alla sua componente inevitabile di ritualità.

Il fatto che noi non siamo in grado di decodificare la geometria dello scambio sociale non significa che non esista una meccanica sovrastrutturale delle relazioni.

Mi fa rabbia la considerazione secondo la quale l’Africa – o l’India, o altri contesti poveri – potrebbero essere una specie di Paese del Buon Selvaggio nel quale si bada ai bisogni basilari, si riconduce ogni cosa all’essenzialità, e per questo si è più vicini all’autenticità della vita.

Credo che quest’idea dipenda dalla nostra incapacità di vedere al di là del nostro naso la grande quantità di complicazioni della dinamica relazionale.

Capiamo solo i nostri valzer mondani, i nostri non detti, le nostre cautele nei confronti del potere, la nostra politeness, le nostre convenzioni.
E così, quelle degli altri ci sembrano inesistenti, solo perché non ci sforziamo né di vederle né di capirle chiedendo aiuto.

No. L’Africa non è il luogo dell’essenziale.
Solo una mentalità intimamente suprematista, razzista e colonialista può concepire l’idea che esistano luoghi in cui la vita scorra legata alle sole cose primarie e basilari.
Che le complicazioni esistenziali e sociali siano una produzione della nostra scellerata consuetudine con l’abbondanza e con l’eccesso
.

L’essenziale non esiste, se non in termini di dotazione-base per la sopravvivenza.
E quando si tratta di questo chiunque di noi potrebbe – veramente – vivere a pane e acqua.

L’essenziale come categoria dello spirito non c’è se non nelle nostre menti esangui e mal ossigenate.
Non ha senso venire in Africa o andare in India per scoprire l’essenzialità, liberarsi dal bisogno dei fronzoli e sentire più leggero il bagaglio delle proprie mancanze e dei propri dolori.
Non ha senso usare le vite degli altri per vedere in esse solo quello che ci fa comodo per stare meglio, o per trarne conclusioni anche solo ideologicamente confortanti.

È l’incontro quel che conta.
Ma occorre accettarsi come persone che entrano in relazione con altre persone.
Non come esecutori di un mandato.