Share This

03.d – mediaforum

Da Mediaforum del 3 giugno 2008 e dal blog dell’autrice dell’intervista, Viviana Musumeci.

FEDERICA SGAGGIO: UN MESTIERE ANCHE PER DONNE

Scrivere libri gialli è un lavoro per uomini, direbbe qualcuno. E forse proprio per questa ragione Federica Sgaggio, che già in quanto giornalista de L’Arena ha scelto una professione non considerata propriamente femminile, si è confrontata con questo genere. Sorprendendo anche alcuni colleghi che, all’uscita di “Due colonne taglio basso”, edito da Sironi Editori, le hanno chiesto meravigliati: «Ma allora sai anche scrivere?».

Innanzitutto perché hai deciso di chiudere i capitoli con la stessa frase che dà il titolo ai capitoli stessi?
Non lo so (dice ridendo, ndr). O meglio, avevo notato che in alcuni romanzi lo stesso accorgimento era adottato con le frasi iniziali. Ho pensato che in questo modo potessi creare una struttura circolare, ma soprattutto ho tentato di condensare ogni capitolo in una singola frase.

Per la storia del tuo libro hai attinto alla tua esperienza professionale in generale oppure ti sei ispirata proprio ai tuoi colleghi di redazione?
Non mi sono ispirata a nessuna redazione. Non esiste nessun personaggio del libro che abbia un corrispettivo nella realtà. Ti dirò di più: non c’è un solo personaggio con cui andrei a bere un caffé. Se, per esempio, il pubblico ministero mi invitasse a uscire, troverei rapidamente una scusa per evitarlo. Forse l’unico che mi trasmette un po’ di simpatia è Calzario perché è un “bastardo” vero.

E come hanno reagito i tuoi colleghi all’uscita del libro?
In generale mi hanno chiamato dicendomi che i personaggi ricordavano loro alcune conoscenze. Credo che questo significhi che la sindrome individuata nella storia è tipica delle strutture autoreferenziali, a cui si accede per cooptazione. Tra i colleghi della redazione alcuni hanno fatto finta di niente, altri si sono meravigliati del fatto che sapessi scrivere. Il giornale, comunque, è un pretesto. La storia narrata è quella di alcune persone che si trovano a vivere in situazioni borderline.

Nel romanzo utilizzi un linguaggio asciutto, scevro da emotività. Sembrerebbe scritto da un uomo…
Non sono in condizione di capire se scrivere in modo simile a quello di un uomo sia positivo o no. Quando ho conosciuto il mio attuale marito non lavoravo ancora nel mondo dell’informazione. Quando poi iniziai a frequentare la redazione, mio marito mi fece notare che il mio linguaggio era cambiato, sottolineando che si avvicinava molto a quello degli scaricatori di porto. Reputo che, avendo a che fare quotidianamente con notizie terribili, sia una conseguenza naturale.

Leggi libri gialli?
Sono una grande lettrice di gialli e proprio perché ne ho letti tanti pensavo di essere incapace di inventarmi una storia. Ero sicura di non riuscire a scrivere un dialogo. In seguito mi sono accorta che volevo descrivere come la gente si rapporta al potere – perché è lì che emerge la tempra morale di una persona -. E mi sono anche resa conto che l’unica forma possibile per descrivere questo rapporto era il confronto con un omicidio.

Perché sei legata all’Irlanda?
E’ un caso. Nel 2003 sono andata per la prima volta a seguire un convegno a Dublino organizzato dalla Wan (World Association of Newspapers). All’epoca non parlavo bene l’inglese ed ero abbastanza preoccupata. Invece mi sono trovata subito a mio agio, ho parlato con l’autista del taxi e mi sono sentita come se fossi a casa. Da quel momento ci torno almeno un paio di volte all’anno e vi ho portato anche mio figlio.