un pensiero tangenziale che mi inclina

Me ne andrò a dormire, tra un po’, molto pensierosa, e turbata, dopo la visione – qui – del film veramente bello di Alina Marazzi «Un’ora sola ti vorrei».
È una storia densa per dire della quale (ammesso che del mio parere si senta la mancanza, e sono certa di no) non riesco né voglio trovare altri aggettivi, perché tutto quel che c’era da dire e da mettere in fila l’ha detto e messo in fila la regista, nel 2002.
Che il diavolo mi fulmini se parlerò di dolore e di sofferenza. O di asciuttezza, assenza di effusione.

Per una cinica e poco permeabile associazione di idee i cui nessi mi scappano appena mi azzardo a cercare di toccarne le estremità sottili, c’è una sola cosa che mi sento di dire: che mi manca il privilegio.
Mi manca tanto, come un paradiso perduto da generazioni precedenti, la libertà di osare.
Quel senso di «sì, lo scaffale è lontano, ma le cose che ci sono dentro sono anche per me».