gara in grigio

Giornata grigia, senza ombre. Se cammini e guardi a terra, non vedi il tuo profilo.
È questa la luce dei miei inverni.
Figurine incolori che attraversano un’aria ferma da cui è scappato il sole.
Odori cattivi di secrezioni meccaniche, hai l’impressione che respirare ti faccia male; che faccia entrare qualcosa che il tuo corpo non vuole. E te lo senti andare in giro dovunque, quel pulviscolo di cattivo odore, non puoi fermarlo.

Ero sulle strisce pedonali, stamattina.
Incerta.
Un’auto correva veloce.
Ho sentito il rumore del pensiero dell’uomo che guidava; non si domandava se farmi secca o no. Solo se fermarsi era giusto.

Dice Antonio Polito che i ragazzi devono laurearsi in buone università, sacrificarsi senza essere coperti dai genitori, e correre, darsi da fare per emergere.
Sento l’onda profumata di questo ragionamento come se fosse una spruzzata di Glade che volteggia nell’aria di una latrina.
Sembra bello, giusto. Un ragazzo perbene, in gamba, intelligente. Me lo vedo lì, a testa bassa, a studiare, e la sera a fare bisboccia coi soldi di papà, o anche senza soldi, che importa.

Il ragazzo perbene deve competere e deve essere bravo e deve sapere tutte quelle cose giuste e ortodosse che fanno di lui un bravo ragazzo.
E poi – puff – un giorno si sente perso dentro un mondo gigante.
Si guarda intorno e non si ritrova.
Papà fuma il sigaro e sbuffa nuvole grigie. Io non so se sono grande o piccolo, se voglio crescere.

Ma la crisi non è ammessa.
Non si può stare male.
Si può solo stare bene, e competere.