jessica

Almeno un paio di chakra, forse tre, devono essere rimasti chiusi nonostante i massaggi indo-balinesi, mi dico. Sto guidando in direzione del lavoro.
Posteggio.
Esco dall’auto.
Arrivo al giornale.
Passo il badge sul coso metallico che fa aprire le porte della redazione.
Niente.
Tutte le volte che succede ho la sensazione che il mio licenziamento è una cosa di giorni, che questo è un segnale di dio, o anche dell’editore. Che poi, a pensarci bene è un po’ la stessa cosa.
Ritento.
Niente.

Infilo la mano destra nella borsa – una deliziosa borsetta a mano di un colorino che non saprei definire; dev’essere perché ho gli occhiali D&G a lente nera a prova di raggi UV-A e UV-B e forse anche un po’ perché mi trovo controsole – e cerco il telefonino, un coso rosa metallizzato preso coi punti Vodafone che a ogni conferenza stampa viene umiliato dagli iPhone S-s-s-s serie limitata con diamanti.
Tocco le chiavi (portachiavi mucca morbida).
Tocco l’astuccio delle penne (vuoto).
Tocco sei penne (tutte fuori dall’astuccio, una senza tappo).
Tocco l’assorbente di riserva (con ali).
Tocco il libro che mi hanno regalato per la Festa della donna in carriera, un saggio che si intitola «La città dei belli e dei brutti», scritto per una casa editrice tipo Maximum telefast, una cosa così, da una di queste colleghe sicuramente brutte, invidiose e frustrate che non mi ricordo come si chiama, e dice – mi pare, l’ho letto a salti – che insomma, il giornalismo non può essere così concentrato sul fattore estetico della società moderna (e sul botulino, anche), quando poi invece lo sanno tutti che la democrazia si regge sulla correttezza delle informazioni, tipo che se leggi che la Canalis esce con Clooney devi poterti fidare che è vero, altrimenti come cronista tradisci l’eredità di Collinarelli, Miserellini, Astronotturno, Pazziano, Gazza e altri giornalisti importanti.
Comunque. Niente telefonino.

Tiro fuori gli oggetti uno per volta: li metto a terra.
Il resto, le cose piccole, le rovescio direttamente sul selciato.
Passa la caporedattrice Grace Kelly, 37 anni di porcellana cinese e un grandissimo cervello.
«Ehi, ciao, Jessica. Vedo che i preservativi alla fragola piacciono anche a te».
Abbasso gli occhi.
Effettivamente per terra c’è una confezione di preservativi alla fragola.
«No. Cioè, non lo so. Me li ha mandati la Enjoy spa, li dovrei recensire e sto aspettando l’occasione buona».
«Ah. Interessante. E assaggiarli come una pietanza?».
«Tipo a pranzo, dici?».
«Perché no, cara?», dice passando il suo badge sull’aggeggio. «Sono praticamente privi di carboidrati».
Le porte si aprono e si richiudono dietro il tailleur Etro di Grace prima che io riesca a rimettere tutto in borsa.
Di buono c’è che il telefonino ce l’ho in tasca: m’è venuto in mente.
Chiamo la mia collega Huey Dewey-Louie al suo numero interno.
«Huey Dewey-Louie, rubrica Donne e buoi dei paesi tuoi, buongiorno».
«Huey, sono Jessica. Il badge è di nuovo rotto. Mi vieni ad aprire per favore?».
«Ancora? Ma non puoi fare dei segni a McCloud?».
«Ci sto provando, ma è distratto. Vieni?».
«Okay, scendo. Tu però fatti cambiare il badge, eh».
Aspetto un paio di minuti.
Suona il telefono.
Lo cerco in tasca; naturalmente l’ho messo nella borsa e non riesco ad afferrarlo prima che smetta di trillare.
Al di là del vetro vedo Huey che parla con la guardia giurata e leggo il labiale. Una cosa come «buongiorno signor McCloud, il solito badge della signorina Rabbit… Lei gliene può dare uno che funziona, vero?». Risatina. Secondo me Sam le piace.
Huey mi apre, finalmente.

«Ciao, tesoro», mi dice. «Ero alle prese con un pezzo da panico».
Lei è sempre alle prese con un pezzo da panico. «Ah, sì?».
«Sì, guarda», mi dice mentre entriamo in ascensore. «Il direttore mi ha detto che questa volta dobbiamo parlare dell’eccellenza degli asparagi delle nostre zone».
«Uau! Gli asparagi! Che cosa chic, Huey! Davvero?».
«Sì».
«E come pensi di procedere?».
«Mah. Un’inchiestona tra gli ortolani, tanto per cominciare. Sai, no?, che sugli asparagi stanno emettendo dei fiùciars. A Uoll Strit vanno alla grandissima».
Plin.
Arriviamo al piano. «Ma che bello. Ciao, Huey, ci si vede».
Entro nella mia stanza. Una stanza tutta per me.
Essere redattrice unica del settore Costume e stili di vita per il settimanale TakeItEasy, che tutti chiamiamo Tie’, dà qualche privilegio.
Chiudo la porta e guardo l’orologio.
Sono le undici.
Io sono giornalista d’inchiesta. Devo scrivere un pezzo su un argomento che mi ha molto colpito per la sua scottante attualità: gli armadietti delle piscine e i lucchetti per tenere al sicuro le proprie cose mentre si nuota.

L’altro ieri mi ha chiamato il direttore. «Jessica», mi ha detto. «Un servizio così lo posso affidare solo a te».
Comincia sempre così, Brett Sinclair, ogni volta che deve chiedere qualcosa. A volte è così persuasivo che ci credo perfino io.
«Negli ultimi tempi ci son stati parecchi furti negli armadietti dei club di nuoto più esclusivi. Mi han telefonato la contessa Morellina van Houten, la baronessa Stellina Piccolini de’ Tesorucci e anche la professoressa Giulia Attentini Ragazzi, hai presente, no?, quella che insegna a ssciànze della comunicazzione».
«Sì, è stata anche la mia dosciànte».
«Ecco. Dagli armadietti del circolo Perla di Labuan sono scomparse le loro borse. Erano fuori dalla grazia di dio».
«…».
«Ti va di fare una piccola inchiesta sulla sicurezza dei lucchetti? Non sooo… i materialiii, la resistenza delle chiavetteee…».
«… e magari anche qualcosa sulla vigilanza alle piscine?».
«Oh, brava. Vedi che tu hai le Idee?».
Vero. Io-ho-le-Idee.
In effetti, pensavo che per il test che mi ha commissionato la ditta Enjoy un aiuto potevo chiederlo a McCloud.
Peccato, dannazione, essere una ragazza così fedele dentro.
[…]

Continua qui dentro.

Il libro, un esperimento multidisciplinare molto interessante che riunisce scritti di genere vario, dall’intervista al racconto, tutti sul tema del giornalismo, è stato presentato il 27 settembre a Roma da Carlo Freccero e Massimo Bucchi.
Nel volume, interventi dei giornalisti Mimmo Candito, Maurizio Caprara, Filippo Ceccarelli, del giurista Antonio Bevere, dello psicologo Nicola Boccianti, della linguista Valeria Della Valle, dell’esperta di cinema Ginella Vocca, delle scrittrici Cristiana Alicata, Alessandra Bertocci e Federica Sgaggio, e degli scrittori Luigi Ananìa, Paolo Colagrande, Ugo Cornia, Alessandro Iovinelli, Fabio Salbitano, e Carlo Villa.