call me supertel

Cherry kiss. Giuro: si chiama così, anche se è solo un tubetto di burro di cacao che mi serviva la sera prima di andare a letto.
Nel negozio quelli normali erano finiti, e così ho dovuto comprare per forza lui.
Che fosse un po’ lucidino potevo immaginarlo. E in qualche momento, prima di andare alla cassa a pagarlo, pensavo che poteva avere un gusto buono, come quando a quattordici anni comperavo i lucidalabbra roll-on al sapore di fragola e pensavo che se mai avessi baciato qualcuno – figuriamoci – quel bambino avrebbe detto a se stesso «però, che buon sapore ha questa ragazzina, dev’essere la donna della mia vita».

E invece no: «cherry kiss» è anche rosso.
Meglio: lascia una traccia rossa.
Ma non come un rossetto; non è una traccia definita, ma una cosa tipo «ho mangiato il pomodoro e non mi sono pulita bene la bocca, che peccato». Il che, purtroppo, è un problema, perché io il burro di cacao lo metto sempre anche oltre i contorni delle labbra. Così, sembro una di quelle zitelle di cent’anni che svernano alle terme e per scendere a cena si spalmano badilate di coloretti rosé sulla bocca.

Una mattina, mentre guardavo allo specchio con aria mesta e possibilista («e se stessi veramente diventando come una zitella alle terme?») l’effetto che una notte di cherry kiss aveva avuto sulla mia bocca, suonò il telefono.

«Pronto?».
«Pronto, buongiorno, sono Ivan della compagnia telefonica Supertel, la chiamo per parlarle delle nostre offerte con cui potrà risparmiare canone e costi telefonici, partecipare al fantastico concorso “In Porsche con Supertel” e ricevere un simpatico omaggio».
«Non ho tempo, mi scusi».
«Dite tutti così», replicò Ivan.
«Beh, ma non ho tempo davvero!». In effetti, per esempio, dovevo capire un po’ meglio quella storia del cherry kiss.

«Ma lei ha mai pensato al fatto che la nostra vita fa veramente schifo?».
«Intende “la nostra” in generale o ha in mente qualcuno di specifico?».
«La nostra, la mia, cosa vuole da me? Qui a chiamare la gente dieci ore al giorno, a dire a tutti che l’offerta della Supertel è fantastica, l’ideale per ogni consumatore avveduto, sapendo che nessuno ci crede a meno che non siano vecchi rincoglioniti che ti si stringe anche il cuore ma ti tocca far finta di niente e dire “che bello, questo me lo fotto”. A tenere le persone al telefono giusto un altro po’, per non sopportare per l’ennesima volta l’insulto di sentirsi ripetere “scusi, non ho tempo”. Sapere che delle offerte della Supertel non interessa niente a nessuno eppure continuare a provarci, a parlare, a dire di continuo cose qualunque per riempire il tempo, e tutto questo solo per non tornare a casa con un altro fallimento sul groppone?».

Ca***. Non me l’aspettavo.
«Lei che sta da quell’altra parte», riprese Ivan. «Sì, dico a lei. Lei che sta dall’altra parte ce l’ha un’idea del fatto che io sono un uomo con i suoi desideri, i suoi progetti, le sue aspettative, il suo bel titolo di studio, e invece sono qui a tentare di parlare con lei e di non farle mettere giù la cornetta solo perché non riesco a trovare niente di meglio da fare nella vita?».

O gesù. Non pensavo. Non sapevo come fermarlo, che imbecille ero stata a non guardare il numero sul display prima di rispondere.
Ivan non mollava: «Lo sa – dico: lo sa, lei? – lo sa che io ho quarantadue anni in ottobre? Quarantadue, si rende conto? L’età in cui i miei genitori cominciavano a tirare i remi in barca, e io invece sono ancora qui come un cretino a cercare di vendere a lei le fottute offerte speciali della Supertel?».

Va bene. Ha vinto: «No, non lo sapevo», gli dico.
«Beh. E adesso che lo sa cosa intende fare, eh?».
«Non lo so, non ne ho idea».
«No: mi risponda! Cosa intende fare adesso che lo sa? Vuole continuare a ignorarmi come se non avessi detto niente? Come se avessi la peste?».
Ca*** ca*** ca***. «Senta, mi dispiace davvero, ma non ho tempo».
«Beh, neanch’io. Adesso che ci penso non ce l’ho neanch’io, il tempo!».
E mette giù. Clic.
Grande Mister Supertel: la cornetta in faccia, alla fine, me l’ha sbattuta lui.