tu chiamale, se vuoi, emozioni


Ho appena messo giù il telefono. Mi ha telefonato un amico che si chiama Matteo. Voleva dirmi che aveva appena finito di leggere il mio libro, e che gli era piaciuto moltissimo.
Se lo scrivo (vergognandomi peraltro come se stessi millantando; ma per fortuna lui sa che non sto mentendo) non è per il piacere di raccontare i fatti miei, o per una questione di autopromozione.
Lo scrivo perché è la seconda volta in tre giorni che una persona che conosco, sì, ma non così profondamente come se fossimo stati amici da sempre mi telefona per dirmi questo e poi finisce per raccontarmi cose di sé.


L’altro giorno è successo con un collega con cui ho così scarsa familiarità che, per chiamarmi, lui ha dovuto chiedere il mio numero di telefono a una comune conoscenza. Stasera con un amico recente, che ha una moglie bella e simpatica e un bambino che mi piace molto. Uno di quei bambini che quando parlano con gli adulti cominciano entusiasti il discorso a voce alta e ad occhi accesi, e poi a poco a poco, come sopraffatti da un senso di vergogna generazionale, tendono ad abbassare lo sguardo, come se pensassero che in fondo avrebbero anche potuto tacere, e sarebbero sembrati anche più educati.
Uscendo da scuola (frequenta la stessa scuola di mio figlio), un giorno mi è corso incontro per dirmi questo: «Sai cos’è successo al mio cane? Ha sviluppato tutti i sintomi di una gravidanza isterica, forse per qualche problema ormonale». Giuro: ha detto esattamente così, e ha dieci anni.

Comunque. Sto scantonando.
Se racconto di queste due telefonate è per questo motivo: che in entrambi i casi, e con le inevitabili differenze caratteriali, questi due amici hanno cominciato la chiacchierata parlando del mio romanzo, dicendomi del tal personaggio, e della tal frase, e della tal descrizione, e del tal dialogo – e riempiendomi, per questo, il cuore di gioia – e hanno finito raccontandomi cose di sé.
Cose vere, sentite, e anche profonde.

È per questo che lo racconto: perché se non avessero trovato, nel libro, qualcosa che si poteva percepire sentimentalmente ed emotivamente autentico, e vero, probabilmente nessuno dei due avrebbe mai parlato veramente con me.
Poteva passare una vita intera senza che ci dicessimo niente di personale.
Proprio come nel libro, dove se non fosse stato per l’omicidio di Silvio Bruni, molti dei colleghi della redazione sarebbero rimasti completamente sconosciuti e lontani l’uno all’altro.

Magari sbaglio; magari è una sciocchezza: ma che un libro – no: che il mio libro – faccia parlare le persone è una cosa che mi sembra bellissima. Una di quelle cose che la pubblicità della carta di credito direbbe che non hanno prezzo.
Okay. L’angolo della poesia chiude qui.
Ora stacco. Buonanotte.