il coraggio intellettuale di dire sconcezze


Vignetta di Gianfalco

Breve rassegna di sconcezze pronunciando le quali alcuni riescono perfino a essere orgogliosi del loro ardimento intellettuale.

Uno.
L’enorme Massimo Cacciari pensa che ottenere dal ministro dell’Interno (o di polizia, come lo chiama D’Avanzo nel suo bello e triste editoriale di oggi) il consenso e il denaro per il suo campo sinti di Mestre gli eviti le quotidiane contestazioni dei leghisti della sua città; e crede con ogni evidenza che questo sia estremamente importante.
Sicché, non esita a dirsi d’accordo con l’idea di prendere le impronte digitali ai bambini rom (cosa che continua ad avere il consenso, sul sondaggio del Corriere, del 61,5 per cento di chi ha risposto).
Ricordo solamente tre particolari secondari: Cacciari sarebbe di sinistra; Cacciari fa il sindaco; Cacciari viene definito filosofo.

Due.
Replicando ai rilievi dell’Ue (non specificamente indirizzati al progetto italiano, perché riferiti a fattispecie di carattere astratto) rispetto all’illiceità di prendere le impronte digitali a cittadini di una singola nazionalità o di una singola etnia, il grandissimo Maroni ripete che le critiche sono immotivate (ma come esempio di rispetto verso gli interlocutori non potrebbe semplicemente dire che non è d’accordo con le critiche? Deve per forza delegittimare le opinioni motivate degli altri?), e che – occhio, perché questa è bella – «nei tribunali e nelle procure minorili, chi ha meno di 18 anni e deve essere affidato a un istituto perché è senza famiglia viene sottoposto ai rilievi proprio per ricostruire la sua identità».
Sconvolgentemente, il ministro dimentica di rilevare che quando intervengono i tribunali i minori sono già senza famiglia (anche se non sempre, magari, la decisione è stata saggia), mentre invece i suoi pretoriani dovrebbero intervenire a prendere le impronte ai bambini rom esattamente per toglierli alle famiglie. È diverso, signor ministro. Radicalmente diverso.
Ma tanto, conta solo la propaganda.

Tre.
Il meraviglioso divo dalla mascella volitiva – che ricordo essere giornalista professionista, nonché ex direttore di un giornale quotidiano – dice: «Noi siamo perché i magistrati possano fare tutte le intercettazioni che ritengono necessarie ai fini delle indagini: ma siamo perché non finiscano sui giornali, a salvaguardia della privacy dei cittadini, che è un valore».
Due cose.
A. Vorrei che il segretario del Partito democratico, preso dalla foga, non dimenticasse che, insomma, non è proprio carino che un legislatore (quale a tutti gli effetti è un parlamentare, ancorché di minoranza, almeno fino a quando non sarà formalmente abolito il Parlamento) non si preoccupi di fissare i paletti che i magistrati devono seguire nelle intercettazioni, e dica «prego, fate pure tutte le intercettazioni che vi sembrano necessarie». Più corretto sarebbe non abdicare per puro scopo propagandistico alle proprie responsabilità e avere il coraggio di indicare cosa intende esattamente con la parola «tutte».
B. La privacy? Non sui giornali? Cioè, Veltroni, parliamone un po’. Tu vorresti che non fossero state rese pubbliche le incredibili intercettazioni di Saccà, Berlusconi, De Angelis e via dicendo?
Per te quella è invasione della privacy?
Ma scusa: laicamente, non ti sembra che sussista un pubblico interesse a conoscere le volgari trivialità nelle quali incorrono personalità politicamente, culturalmente e istituzionalmente così cruciali?
Perché si fa così fatica ad accettare la normale dinamica dell’«io giornalista cerco le notizie, scavo, mi interrogo sulla loro portata, valuto la loro veridicità, e scrivo, e se diffamo qualcuno vorrà dire che mi condanneranno, sapendo tuttavia che l’avere riportato la verità di un fatto di interesse cronachistico, e l’averlo fatto rispettando i miei doveri di continenza, vale – secondo la disciplina della diffamazione a mezzo stampa – da scriminante»?

Quattro.
Sono un’utente Mac da sempre, e quindi posso essere accusata di parzialità, va bene.
Ma cosa posso dire di chi sostiene che con l’i-Phone la Apple discrimina le persone grasse e le donne con le unghie lunghe, categorie che faticano a utilizzare appieno le potenzialità del touch screen?
Anche qui, una domanda (con una postilla): se queste persone si trovano meglio coi tastierini miscroscopici dei Nokia o dei Samsung – lo escludo, però – perché non continuano semplicemente a usare i loro telefonini, invece di chiedere che l’i-Phone diventi un dispositivo portatile di superficie pari al metro quadrato?

La postilla è su quella cosa delle unghie lunghe e superdecorate.
Lo dico: sono orrende.
È un’idea di donna che mi è insopportabile: quella che si infila in una teca di cristallo perché è tanto fragile, povera piccola, e nel contempo – se solo ti avvicini un po’ troppo – ha delle unghie che ti possono scarnificare. False, certo: d’altra parte lei, di suo, sarebbe buona e mansueta. Le unghiolone se le deve mettere perché il mondo è tanto cattivo. Con lei, soprattutto. E comunque, è lei che non si preoccupa minimamente del dato di fatto che quelle unghie le tolgono la possibilità di utilizzare il senso del tatto della parte superiore dei polpastrelli. Non è che il tatto glielo toglie Steve Jobs. Per dire.

Sui ciccioni, invece, non ho niente da dire.
Non è sensazionale?