universi paralleli regionali (o la nobile volgarità)

Consiglio di dare un’occhiata qui.
A parte rifarsi gli occhi con l’enorme quantità di tette sporgentissime, scopertissime e rotondissime, si può leggere questo: «Accolti dalla padrona di casa Nenella Impiglia Curzi, titolare del brand Vic Matiè, i vip hanno attraversato un percorso segnato da impronte canine e si sono accomodati a tavoli imbanditi come aiuole, arredati con piantine di peperoncini».

il trasportino del canino col cristallino preziosino

Se uno è tentato di incazzarsi ma si trattiene educatamente perché fa appello alla sovrana indifferenza o alla risorsa della buona educazione, sappia che alla lettura della frase successiva non ci sarà autocontrollo che tenga.
Eccola: «Durante la festa è stata lanciata la linea di accessori in edizione limitata per cani, che prevede un collarino abbinato a un guinzaglio e a un trasportino con la scritta «I love dogs», caratterizzato da un prezioso cuore realizzato in cristalli Swarovski».

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Credo.

eccellenze innovazione tipici cortina stop

Ma ecco «Veneto Style».
Sommario di copertina: «Volti, personaggi, eventi, luoghi e architetture: le eccellenze» (c’è! La parola «eccellenze» c’è veramente! L’avevo indovinato!) «più ammirate nel mondo. Dagli chef che hanno esportato i sapori tipici della regione in ogni angolo del globo, ai locali storici, fino alle dimore gioiello» (già: come dimenticare le dimore gioiello?) «e agli aneddoti sulla dolce vita cortinese» (animata da simpaticissimi cosmopoliti). «Un viaggio tra creatività, talento e innovazione» (aaaaaargh! L’innovazione non la reggo!) «alla scoperta dello Stile Veneto».

ma parliamo di stile

Adesso.
A parte le maiuscole di «Stile Veneto» (si potrebbe fare un trattatello per l’esegesi: Veneto sarà aggettivo o nome proprio? E Stile una citazione italianizzata della testata o un sostantivo usato in senso proprio?), vorrei chiedere: ma c’è veramente, lo stile veneto?
C’è davvero, questo «stile veneto» che nell’editoriale di presentazione viene definito «un tocco inconfondibile»?
E se mai c’è stato, può – esso – sopravvivere in questa marea di cafoni arroganti che misurano il proprio valore e quello altrui sulla base dello sviluppo orizzontale e verticale dell’auto, del numero di case possedute, del numero di domestici fissi, del numero di nobilotti frequentati ancorché episodicamente, del tasso di settimane bianche e chissà cos’altro?

una parola sui figli delle eccellenze

Ma questi che hanno deciso di lanciare il lusso come stile di vita meritorio hanno un’idea di cosa sono diventati i bambini di questo posto geografico?
Hanno un’idea di quanto bastardi e razzisti siano? (Forse sono uguali anche altrove, ma non posso saperlo per via diretta)
Sanno che a compagni di classe neri dicono «ehi, non toccare il piatto ché lo sporchi»?

tutto questo è il post tv-private

Il mio sospetto è che lo sappiano benissimo, e che questa cosa piaccia. E che se magari non piace, beh, queste riviste che proiettano scenari assurdi, inaccessibili alla gran maggioranza delle persone normali, servono comunque a metterci pubblicità, a creare «senso», e anche senso politico, che distrugge in tempi infinitamente più rapidi di qualunque restaurazione realmente politica quel poco di egualitarismo, quel poco di Rivoluzione francese che ancora rimane nelle pieghine di questa società.

pierqualcuno

A margine.
La quattordicesima disposizione transitoria della nostra Costituzione dice questo: «I titoli nobiliari non sono riconosciuti. I predicati di quelli esistenti prima del 28 ottobre 1922 valgono come parte del nome».
Bene.
E allora perché tutta questa gente che si fa chiamare «conte», «marchese»? Perché tutti questi «Pierqualcuno» o «Pierqualcosa»?

siamo tutti «signori» (chi più chi meno, in effetti)

Che cosa diavolo intendono asserire identificando se stessi – o accettando di essere identificati – come esponenti di un ceto nobiliare abolito?
Io ero rimasta affezionata al fatto che la grande rivoluzione della nostra storia risiedesse nella creazione di una società di uguali.
Non vorrei far qui l’elogio della borghesia (in Italia forse un mito); ma c’era un mio vecchio direttore che aveva tanti difetti, ma certamente un enorme pregio: a chiunque lo chiamasse dottor Ics replicava con serietà che per conquistare il diritto a desser tutti chiamati «signore» c’erano stati rivoluzioni e morti.

un sobrio blindato da città

Segnalo infine una pubblicità di quella specie di blindato di guerra che va sotto il nome di Hummer.
Questa specie di bara con cui affrontare in sicurezza la giungla urbana e i bazooka del centro storico l’hanno fatta – ebbene sì – in edizione limitata.
Giustamente riservata ai titolari del privilegio.
C’è scritto questo: «Disponibile in tutti i colori, basta che sia nero» (…) «per un look Hummer ancora più esclusivo» (fuori tutti, voi sfigati!) «e raffinato».

arbeit macht frei

Non so a voi, ma a me la scelta del nero come rappresentazione visiva del Veneto sembra tremendamente azzeccata.
Ci sarebbe voluta una piccola decorazione tricolore; che so: una fiammella, magari.
Sul radiatore una piccola croce celtica, anche.
E sulla portiera un simbolino leghista, visto che questi con il nero vanno tanto d’accordo.
Infine, l’ultima proposta:
Sul longherone del tettuccio dell’Hummer, io metterei un’opera esclusiva di un artigiano veneto del ferro battuto.
Una scritta ben modellata.
Una cosa come «Arbeit macht frei».

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