non posso sposare il mio afrikaaner

Facciamo che avevo 20-21 anni e andavo in vacanza in Sudafrica.
Facciamo che poi rimanevo lì un po’.
Abbastanza a lungo per capire che quel trentenne di cui mi ero innamorata era un uomo con cui valeva la pena tentare di costruire qualcosa.
Facciamo che in Sudafrica vivevamo insieme per tutto il tempo del mio – dico per dire – corso di laurea.

Facciamo che un giorno lui mi diceva: «Sai, ci ho pensato per un bel po’ e adesso ne sono sicuro: mi piacerebbe che ci sposassimo».
Facciamo che me lo diceva in aereo mentre stavamo venendo a fare le vacanze in Italia, dai miei.

Facciamo che ci organizzavamo per tentare di fare le pubblicazioni nella mia città di residenza.
E facciamo che non potevamo sposarci perché lui, il mio fidanzato afrikaaner o nero, non ho ancora deciso, non aveva un permesso di soggiorno ma solo un visto turistico.

Non è illegittimo che un Paese tolga a un suo cittadino – me, in questo caso – il diritto di sposarsi con chi gli pare?
Non è illegittimo che un Paese pretenda di vagliare la serietà delle motivazioni di due adulti?
Non è incivile che quando si tratta di uno straniero si dia per scontata l’intenzione di gabbare le leggi?

Credo che il cosiddetto «pacchetto sicurezza» non sia stato scritto da don Abbondio, come dice Famiglia cristiana con un po’ troppa pacatezza.
Penso che sia stato scritto da fascisti.
È diverso.

E la cosa più inquietante di questa vicenda è che siamo tornati a scomodare l’espressione «matrimoni misti».
«Misti» in che senso?
Forse quello mio e di mio marito – quello vero, non l’afrikaaner – non è un matrimonio «misto»?
Cosa c’è di più misto di due persone che, non avendo condiviso l’infanzia, la storia, le vicende familiari, le paure, le gioie e le speranze dei primi anni della loro vita, decidono di condividere – destino permettendo – la loro vita?