la signora carmen/part three

Questa volta, invece, ci eravamo lasciati sul retro.
Tutto sommato si potrebbe anche chiamare culo, se non fosse che – forse perché, fra tutte le terga possibili, si tratta di quelle di mia proprietà – mi viene spontaneo (ci eravamo fermati giusto qua) tenere nei loro confronti un contegno di poco più deferente.

Comunque.
Appena in tempo per non sorprendermi mentre nella mia smisurata pochezza sono alle prese con l’incerta topologia del perizoma di carta, entrano la bionda che precedentemente aveva diretto il traffico nei corridoi e una mora nuova, non quella del cazzo non trovo neanche una moneta e del caffè col figuro.

Questa mora ha capelli così sottili e privi di materia che a mettercisi d’impegno in una mezz’oretta si può forse contarglieli tutti, anche quelli piccolini sulla fronte e sulla nuca.
La coda di cavallo che le scende sulla nuca è più stretta del mignolo di un neonato sottopeso.


Mentre mi tengo chiuso sul petto il telo di spugna cercando di ricordare per quale ragione precisa alla fine avevamo escluso le terme, il pollice mi si incastra in un buco.
Okay, perfetto.
Il centro benessere Nuova Aspasia col sito internet wow strafiko indo-balinese fornisce teli di spugna bucati.
Sono sopraffatta da tanta raffinatezza.

Una vocina filiforme mi distrae dal buco.
Chiede se vogliamo farci la doccia.
«Le docce son qui fuori», ci dice indicando con gesto ampio e vago un altrove indefinito al di là della porta chiusa. «E lì davanti a voi ci sono le ciabattine».

Le guardo strizzando gli occhi perché siamo nel seminterrato, e nei seminterrati c’è quasi sempre poca luce.
Le ciabattine sono bagnate e, dentro, anche sporche di grigio.
Mi tengo i miei sandali, è deciso.
E la doccia me la faccio dopo, forse. Che senso ha farsela prima?
Mia cugina si dice silenziosamente d’accordo.
Condividere il background familiare ha una sua importanza: in un’occhiata ci sono tutti i bisnonni e i nonni condivisi.

La bionda indigena e la mora est-europea si guardano l’un l’altra come se avessero provato la scena mille volte e spengono le luci.
A me sembrava che fossero già spente, ma di sicuro nella nostra suite della Bella Addormentata nel Bosco doveva essere rimasta ancora accesa qualche lampadina da due o tre watt.
Le due sussurrano.
Fantastico. Se va avanti così, con queste due sacerdotesse della Principessa Aurora faccio la figura di quella sorda.

Mi affido a un blando sguardo interrogativo e la tattica funziona: «P..i p..r f..v..r di..end..ti?».
C’è da dire che a volte il punto interrogativo aiuta, comunque.
Un rapido conteggio delle domande possibili mi porta, per esclusione, a capire che devo distendermi sul lettino.

Non so se a pancia in su o a pancia in giù, però.
M’appoggio al lettino e ci deposito le terga, francamente infastidite dal sadico filamento di perizoma che si è incuneato là dove ogni perizoma (come un certo numero di altre cose, tutte ugualmente ostinate) sembra trovarsi a proprio agio.
Una debole spinta della morbida manina della mora mi fa capire che devo mettermi a pancia in giù.

Io capitolo, e sono finalmente disposta a rilassarmi e a godermi dal primo all’ultimo polpastrello le manine polpettosine della mora straniera che m’è toccata in sorte.

Ma ci son due cose che rendono le cose più aspre.
Esse sono due punti: una, che ogni dito delle manine della mia straniera ha le unghie lunghe e adunche come Florence Griffith Joyner e mi chiedo se i graffi fanno parte del trattamento-standard dei figuri sado/maso-baffuti; e due che l’olio brucia ah se brucia.

In corrispondenza del filamento di perizoma (ormai incistato così disperatamente da convincermi che per togliermi le mutande dovrò chiamare i pompieri) sento allargarsi e approfondirsi una crescente sensazione di bruciore che corrode l’epidermide.

Dev’essere allora, in quel momento esatto, che capisco che quel che mi sono raccontata fino ad ora sono tutte cazzate.
No.
La parte più preziosa non è il retro.

(forse) continua