due o tre cose che so sul sesso

cielo_sulla_testaA margine di una di quelle strane sequele di commenti che – su Facebook ma forse sulla Rete in generale – riescono ad avere un sensazionale effetto moltiplicatore della brutalità dei pensieri e delle parole delle persone, stavo riflettendo a tempo perso su una questione: la vulgata secondo la quale se una donna non fa abbastanza sesso si inacidisce, diventa acre.

acida? non fa sesso!

La vulgata, ovviamente, vale anche a contrario, e forse perfino più spesso: se è una donna è (o appare) acre, è perché non fa abbastanza sesso.

se è brutta, sesso schifoso

L’assioma si declina in una pretesa verità accessoria che gli sottosta: che se una donna è brutta, avrà per definizione una vita sessuale insoddisfacente, e dunque diventerà acida e pungente, perderà ogni morbidezza relazionale, ogni curva esistenziale: in una parola, ogni appetibilità sessuale. Diventerà residuale.

e gli uomini?

A un livello di sofisticazione solo apparentemente maggiore, si trova anche chi sostiene che la stessa cosa accade agli uomini – in genere l’argomento è utilizzato per difendersi dall’accusa di sessismo – e chi, donna, avverte di non sentirsi affatto punta da considerazioni come quelle secondo cui una donna è tanto più aspra quanto meno fa l’amore.

problemi loro

L’ultimo pezzo lo liquiderei con la battuta che se una donna non si sente punta da questa considerazione, beh, questo è affar suo; perché la battuta è e rimane sessista indipendentemente dall’animo con il quale essa venga recepita, da un uomo o da una donna.

la prestazione e l’isteria

L’altra questione – che il sesso fa bene anche agli uomini – merita invece un pensierino in più.
Nel senso che non mi sembra vero per definizione.
Anzi: se si entra nella spirale della produttività da prestazione sessuale, secondo me finisce che si diventa isterici assai più che assecondando i propri desideri e sapendo accettare il loro andamento non lineare, insoddisfacente, e talvolta a noi stessi non comprensibile.

le valchirie

La cosa vale, eccome, anche per le donne.
Vedo in giro donne di grande aggressività e apparente ferocia. Non so niente di loro. Mi baso sull’idea di sé che mi sembra di capire intendano dare anche attraverso il loro abbigliamento. Non so: i loro stivali alti a puntissima e i loro jeans stretti e a vita bassa, le borchie, l’andatura marziale, le borse piene di rifiniture metalliche, l’esibizione di spavalderia.

la gara delle pupe

Valchirie così decise nel loro incedere attraverso il mondo a me danno l’impressione di percepirsi in gara, in competizione. Di vedersi come «preda attiva», non saprei come dire (mi si passi l’ossimoro; ma credo che ci possa stare). Di considerarsi trofei che qualcuno può esibire, consentendo loro di brillare di una tiepida luce riflessa.

insoddisfatte?

Capisco che nella mia opinione si possa vedere l’ombra di un preconcetto. Forse c’è. Ma a me sembra che ci sia anche una componente di osservazione e di analisi della realtà.
Chissà poi perché le donne considerate brutte dovrebbero essere sessualmente insoddisfatte, mi domando.

leonesse-prede

Chissà perché una donna deve avere un tale bisogno di dimostrarsi preda, o leonessa. Che sia proprio per evitarsi l’accusa di essere sessualmente insoddisfatta o addirittura – massima tragedia – sessualmente inappetente?

le sfumature

Perché si pensa che il sesso sia materia da corpi belli?
E soprattutto: perché si pensa che il sesso e la soddisfazione sessuale siano cose che riguardano un unico e solo tipo di bellezza, standardizzato e indiscutibile? Che non concepisce altra seduzione che quella lampante e senza sfumature?

corpi belli e corpi brutti

Non mi sfugge la differenza fra un uomo bello e un uomo brutto; né quella fra una donna bella e una donna brutta.
Ma quel che non capisco è per quale motivo un corpo non standard dovrebbe non essere in grado di suscitare il desiderio sessuale di un altro essere umano.

la complessità

Come si può negare, mi domando, la complessità dei fattori che interagiscono?
E perché si pensa che fare molto sesso sia garanzia di serenità?
Io credo che il sesso possa benissimo dare serenità se lo si vive con felicità e accettazione della componente misteriosa e torbida che contiene.
Se lo si vive «male» – anche inconsapevolmente «male», mica è necessario esserne per forza consci – e se ne fa tanto, non è detto che si sia donne o uomini più sereni.

la battaglia

Se il sesso diventa una battaglia da vincere, forse alimenta più frustrazione che felicità o soddisfazione di sé.
Se il sesso non è desiderio, ma tesaurizzazione di numeri, io non credo che chi lo affronti di frequente sia un essere umano più felice.

il rifiuto di sé e dell’altro

C’è una regola, mi domando, che valga per tutti?
C’è un tempo di inattività trascorso il quale si possa pensare che c’è qualcosa che non funziona?
Certo: se l’inattività è il rifiuto di un corpo altrui – e del proprio – immagino che qualcosa da discutere con se stessi ci sia.
Però perché dovremmo sempre essere in tiro? Sempre pronti? Sempre desiderabili? Sempre rispondenti ai canoni prefissati di bellezza da supermarket?

è colpa delle valchirie

Io credo di poter dire che le valchirie mi fanno pena. Credo che mi facciano anche rabbia, però.
Perché, tanto per dirne una, sono le valchirire – lo so, non ho le prove – che ci hanno fatto perdere il referendum sulla legge 40 sulla fecondazione assistita.
Sono le valchirie che ritengono che tutto ciò di cui le donne avevano bisogno era la cosiddetta liberazione sessuale.
Che poi. Certo che ne avevamo bisogno. Eccome.

schiave

Ma la liberazione sessuale non può essere una conquista per donne che si vogliono oggetti altrui, e credono di dover rispondere anche con la prontezza della loro disponibilità a un modello di immaginario e di relazione fisica completamente maschile.
Credo che la liberazione sessuale, se ha ancora senso chiamarla in questo modo (e credo, purtroppo, che il senso ce l’abbia; perché dove ci sono schiave c’è bisogno di liberazione), sia un obiettivo per donne che intendono essere soggetti dei loro desideri, senza aver paura di essi né quando ci sono, né quando si nascondono dietro le salite della vita e rimangono silenziosi per un po’ dietro una piccola siepe, in attesa di fare di nuovo un balzo, al momento giusto, sulla nostra pelle.