asfissia italiana

Sono tornata.
L’afa rende fisicamente evidente la sensazione di asfissia.
Oggi pomeriggio, mentre stavo salendo sull’aereo, ho alzato la testa e ho visto quel cielo, e mi sono sentita gli occhi pieni di lacrime.
Io non so cos’ha quel posto, non so cos’ha Dublino.
Ci son volte che non sopporto quel vento, quel clima, gli odori di quel cibo.
Però ogni volta che me ne vado mi viene da piangere.

Rosemary mi ha accompagnato al «big blue bus» (come dice il suo nipotino Jack, un folletto di tre anni) al Bewley’s hotel di Leopardstown, e quando ci siamo salutate ci siamo commosse tutte e due.
Ha ragione la mia amica Barbara: certi congedi sono sorprendenti.

In aereo mi sono fatta una bella chiacchierata con una hostess ungherese della Ryanair che era fuori servizio e volava via Bergamo verso Bruxelles.
Molto interessante.
Aspirazioni di una trentenne in carriera, piena di entusiasmo e di carica.
È ancora convinta che al mondo ci sono cose giuste e cose sbagliate, e che il potere di cambiare quelle sbagliate sia nelle sue mani.
«Spero che la vita non ti tolga mai le motivazioni», le ho detto.
«Non lo farà», mi ha risposto. «Sono sempre stata così».
Io non ce l’ho avuto il coraggio di dirle che quando si tratta di motivazioni il problema non è mai come si è state, ma come si sarà.
Come si sarà condotte ad essere.

Mi sta suonando l’allarme del telefonino che mi avverte che domattina avrei lezione d’inglese (spostata anche questa).
Esattamente una settimana fa ero al Gaiety Theatre a vedere The Importance of Being Earnest.