uscire allo scoperto

Non sapevo che ci stavo pensando; che dentro di me si impastava qualcosa che cominciava a prendere forma, una forma sua, esclusiva.
Ma deve essere stato così, se all’improvviso la consapevolezza e le parole sono uscite da sole, hanno acquistato materia e vita al di fuori di me dopo essersi fatte largo dentro e avere conquistato una residenza stabile nel mio cuore, nella mia pancia.

Le parole erano queste, e a me sembrano importanti.
Fede, è arrivata l’ora che tu esca allo scoperto.

La pressione a nascondersi, a mimetizzarsi, a far emergere solo la propria regolarità è molto forte.
È molto forte qui, dove vivo io, ma forse è molto forte dovunque.

Però io vivo in un posto dove sentirsi impotenti e proclamarsi tali è un obbligo sociale, oltre che un gesto di enorme convenienza.
Qui funziona che il potere che si aspira ad avere è il potere di essere un servo: perché solo attraverso la fedeltà al padrone – in senso ampio, direi, quasi metafisico – tu puoi scavarti la tua ridicola nicchia di meschino privilegio dalla quale sputare in faccia agli altri.

Ecco. Direi che, adesso che il tempo della paura è finito, per sputarmi in faccia bisogna assumersene la responsabilità.
Sapere che io so che mi si sta sputando in faccia, anche se posso decidere di fare provvisoriamente finta di non accorgermene.

Sapere che tutelo i miei confini fisici e preservo la mia anima dall’inquinamento umano e dai vapori della miseria esistenziale.

Sapere che mi considero titolata ad esprimere qualsiasi parere, qualsiasi giudizio; e anche il mio disprezzo.

Avere opinioni è costoso. Espone alle vendette e alle rappresaglie.
Tenere la testa alta significa essere fra i primi che prendono i colpi delle mazze da baseball.

Ma uscire allo scoperto significa che la mazzata che prendo io la vedono tutti.
Non ci si nasconde, dopo aver preso una mazzata.
Si fanno vedere i lividi.

Sia in una lettura pubblica, sia nella vita di tutti i giorni.