pussy riot e fb: a chi appartengono le donne?

Non so granché sulla vicenda delle Pussy Riot di cui, per esempio, si legge qui.
Cionondimeno, alcune questioni tangenziali al nucleo della vicenda (che si è per ora conclusa con una condanna a due anni di reclusione per il singolarissimo titolo di reato di «teppismo religioso») mi sembra che meritino un minuscolo pensiero, uno di quei pensieri che perfino la mente di una donna riesce a partorire.
E che la storia sia curiosa, poi, mi spinge a crederlo anche il fatto che, a sentire il Corriere, anche la chiesa ortodossa russa ha chiesto un po’ di clemenza.


Il critico Gian Ruggero Manzoni, per esempio, scrive alcune cose che condivido e altre che mi sembrano inaccettabili.
Fra le prime, cito questo passaggio dal suo wall di Facebook:

Se ciò [l’esibizione delle Pussy Riot] fosse successo in San Pietro o in una sinagoga (non dico in una moschea islamica perché ora sarebbero state di già lapidate o condannate a morte tramite sevizie varie), se il Papa o il presidente delle comunità israelitiche Usa o anche solo italiane fossero stati definiti “leccaculi e meretrici”, in quanti, ora, urlerebbero al fine che venissero scarcerate in nome di una “libertà di espressione” del menga? In quanti farebbero i “paladini della libertà creativa”?

Ha ragione: è vero.
I giornali sarebbero stati infinitamente più cauti nello sposare la linea del «tutti con le Pussy Riot», che peraltro è comodissima perché consente di buttare addosso a Putin la croce del’oscurantismo (non che io sia piena di elementi per dire che egli non la meriti), dimenticando che chiunque scriva, canti, incida, scolpisca o modelli cose contro la chiesa cattolica viene, qui in Italia, sopraffatto non da una sentenza (sebbene in qualche caso succeda anche qualcosa di simile: basterebbe ricordare il giudice Tosti, recentemente assolto) ma da un’ondata generalmente maggioritaria di disapprovazione.

Mi viene in mente il caso della rana crocifissa, per esempio.

Fra le cose che scrive Manzoni c’è anche questa>:

«[…] bene fare “arte” (performance, in questo caso, vecchia come il cucco), ma la si faccia senza ledere le altrui credenze e, soprattutto, senza infangare luoghi comunque considerati sacri da alcuni».

Qui già mi sento di dire che «ledere le altrui credenze» può benissimo essere motivo di disapprovazione dell’ispirazione che presiede a un’opera d’arte, ma di nient’altro.
Se poi si intende dire che la forma d’arte dev’essere effettivamente «arte», e in quel caso forse le si potrebbe perdonare pure la lesione alla sacralità che alcuni attribuiscono ad alcuni contenuti, credo che l’argomento non tenga, e non solo perché ciò che è arte per alcuni può non esserlo per altri, ma anche perché o l’espressione di contenuti creativi è libera sempre o non è libera mai.

Si può ritenere che le Pussy Riot stiano alla creatività come Berlusconi alla bellezza maschile, certo.
Ma sindacare cosa sia creativo e cosa no, allo scopo di legittimare oppure no l’espressione di contenuti offensivi per alcune persone che hanno alcune rispettabilissime convinzioni, è un esercizio che lascio ad altri.

Quel che fa impressione è un po’ più sotto, sempre sulla bacheca di Manzoni:

«Che quindi si stia calmi con ‘sti giochetti da ragazzine con la fichetta in fregola (vedi nome del gruppo) e con ‘ste alzate di vessilli “legalisti-pacifisti-sinistrosi/sinistrati-garantisti” per il sempre e solito “gattino sull’albero”.
Le ragazzette in galera, assieme ai quei bei delinquentoni siberiani grossi, infoiati e tatuati (pronti a soddisfare, violentemente, come si addice agli ergastolani, i loro pruriti) e anche ciao alle loro mamme. Amen».

In sostanza, visto che si chiamano Pussy Riot, sarebbe bene che qualche bel delinquentone siberiano grosso «infoiato e tatuato» facesse capire alle loro «pussies» che fare le ragazzette «in fregola» è anche carino, ma comporta alcune conseguenze di qualche peso.
Per esempio, una violenza sessuale.

Ne deduco che se si fossero chiamati «Cock Riot» la condanna auspicabile sarebbe stata la sodomia forzata ad opera di delinquentoni siberiani «infoiati e tatuati», o anche ad opera di detenute «infoiate e tatuate», magari dotate di opportune prolunghe, pomi d’ottone o manici di scopa.

Un signore commenta una cosa che si guadagna 5 «mi piace»:

Si chiaman Pussy Riot, mica Le cugine di campagna… E il discorso del Conte Manzoni è mooolto più complesso… Non facciam del femminismo delle caverne che poi vado ad accendere una candela sulla tomba di Nando Cicero.

Femminismo delle caverne.
Certo: se si fossero chiamate «Le cugine di campagna» a nessuno sarebbe venuto in mente di augurar loro lo stupro in carcere.
Al massimo un’invasione di cavallette?

Altri 5 «mi piace» vanno per ora a questo commento di Manzoni:

È il nome del loro sedicente gruppo musicale “Sommossa della Figa”… mica me lo sono inventato. Perché, sono forse madri di famiglia timorate e caste… eh eh eh eh eh… e basta anche con ‘sto veterofemminismo o veterolesbismo da anni 70 nonché d’accatto.
Serietà, e pochi tamburelli, maracas, bonghetti, girotondi e cagate varie.
In piazza le voglio, contro la polizia in divisa antisommossa: allora, forse, ne possiamo parlare.
Ora in galera e che ci stiano. Basta con questa “alternativa” da dopolavoro da centro sociale… quando l’alternativa l’abbiamo già fatta 40 anni fa e si vede com’è andata.
Di Sex Pistols (pur grandi) i musei della controcultura underground ne vanno pieni. I MUSEI… perché è targato ‘sto giochetto, e puzza. Si lavori seriamente per cambiare le regole del gioco. E per fortuna che ogni tanto il mio vecchio “moralismo” da impegno cazzuto continua a venir fuori».

Sì, dovrebbero andare in piazza, ha ragione.
Ma questa cosa che siccome non sono «madri di famiglia timorate e caste», be’, allora possiamo farle sbattere – ah, in quanti sensi – in galera a me fa ribrezzo.

Sono d’accordo (per argomentarlo ho usato anche un trecento pagine di libro) sul fatto che nelle (finte) proteste che qui e altrove vengono inscenate la politica non c’è e il suo posto è stato preso dallo show-business che ci fa sentire tutti protagonisti di un reality televisivo invece che della vita vera.
Ma anche così, augurarsi che alcune donne vengano violentate per aver avuto l’ardire di chiamarsi come si son chiamate e per aver cantato le cose che (idiote, offensive, violente o no) hanno cantato a me sembra l’indizio pesante di una concezione proprietaria delle donne, che possono ricevere quel che meritano – in qualunque senso: anche se sono state «buone», intendo – solo dagli uomini che su di loro detengono i diritti di proprietà.

Dagli infoiati violenti e tatuati, se esse hanno pensato che definirsi «fighe» (in sommossa o no; e stronzata o no che sia) fosse un lusso che potevano concedersi senza chiedere il permesso a nessuno.
Da bipedi perbene pene-dotati che onorano il contratto matrimoniale, se si tratta di «madri timorate di dio».

Ma si facciano fottere, visto che hanno il fottere sempre in bocca,

scrive ancora Manzoni terminando la frase con tre punti esclamativi.
Non so se abbia senso sottolineare che parlare è una cosa diversa dall’agire. Forse no. Perché più sotto Manzoni scrive ancora che se una continua a parlare di cose che hanno a che vedere col «fottere» prima o poi qualcuno è normale che la «fotta».
Ecco qui:

Quando il “fottere” lo hai sempre in bocca, prima o poi uno arriva a “fotterti” (leggetevi i testi delle loro canzonette da poveretti allo sbaraglio poi mi direte) e, secondo i miei metri, ci sta.

Un altro commentatore parla – e con buona ragione – di «strategia dell’indignazione a comando», ma scivola su un aspetto apparentemente secondario:

A nessuno viene in mente che ci possa essere una qualsivoglia strumentalizzazione, di cui quelle stesse donne possano o no essere consapevoli?

Sono volgari, incapaci di fare arte, inutilmente provocatorie, e anche sceme: magari – essendo donne? – nemmeno si sono rese conto del fatto che sono state strumentalizzate. Meno male che a dirglielo pensano coloro che le vorrebbero vedere stuprate in galera.

Un altro commentatore ancora scrive:

Riguardo alla pena che ne so, potrebbero ad esempio essere mandate periodicamente a contatto con sofferenze vere, a contatto con madri galeotte, a fare da baby sitter ai loro bambini.
O ad assistere donne stuprate da grossi siberiani, insomma tutto ciò che possa far capire loro l’inutilità e idiozia di compiere simulazioni masturbatorie in luoghi pubblici e trovare forme di protesta meno esibizionistiche e immature.
Ma sarebbe come chiedere una condanna per stupidità, mi rendo conto quanto sia inattuabile.

Insomma: il problema è che loro c’hanno la pancia piena e non hanno mai sofferto.
E il dolore col quale sarebbe bene venissero a contatto, benedette donnicciole, ha a che vedere con la metà femminile del mondo: stare «a contatto con madri galeotte, a fare da baby sitter ai loro bambini. O […] assistere donne stuprate da grossi siberiani».

E ridaje.
O «madri timorate di dio» (con l’eventuale sottotipo delle «cugine di campagna»), o zoccole fatte e finite.
L’universo femminile si ferma qui. Queste sono le sue colonne d’Ercole.
Un po’ come in alcuni passaggi del manifesto di Se Non Ora Quando?, in cui esistevano solo donne che si sacrificano e tengono in piedi l’universo e donnacce e donnette da quattro soldi che si prestano ad essere usate dai maschi.

In Italia la maggioranza delle donne lavora fuori o dentro casa, crea ricchezza, cerca un lavoro (e una su due non ci riesce), studia, si sacrifica per affermarsi nella professione che si è scelta, si prende cura delle relazioni affettive e familiari, occupandosi di figli, mariti, genitori anziani.

Tante sono impegnate nella vita pubblica, in tutti i partiti, nei sindacati, nelle imprese, nelle associazioni e nel volontariato allo scopo di rendere più civile, più ricca e accogliente la società in cui vivono.

[…]

Una cultura diffusa propone alle giovani generazioni di raggiungere mete scintillanti e facili guadagni offrendo bellezza e intelligenza al potente di turno, disposto a sua volta a scambiarle con risorse e ruoli pubblici.
Questa mentalità e i comportamenti che ne derivano stanno inquinando la convivenza sociale e l’immagine in cui dovrebbe rispecchiarsi la coscienza civile, etica e religiosa della nazione.

Quelle brave fanno queste belle cose.
Quelle cattive inquinano – stupide, pure, perché credono alla mentalità imperante – «l’immagine in cui dovrebbe rispecchiarsi la coscienza […] religiosa» (???) «della nazione».

In mezzo, il più deserto dei deserti.
O le celle coi siberiani infoiati.

Ps: il vile di cui ai post scripta (!) dei post precedenti farebbe ancora bene a vergognarsi. Il fatto è che penso che il problema sia tutto suo e del suo specchio di casa, costretto ogni giorno a riflettere la sua immagine.
E a scanso di equivoci: non si tratta né di un collega né di un ex collega, ma di un ex amico a cui ho voluto bene.
Ma come si sa, niente è per sempre.