noi bambini

Mio figlio è tornato a casa da scuola e mi ha chiesto i soldi per comperare il Topolino, la rivista di fumetti.

Aveva il giaccone rosso, la cascata di riccioli, il faccino appena brufoloso («Ma a me piace, perché significa che sto diventando grande»).

«Prendi i soldi nel portafogli», gli ho detto.
Mentre cercava i soldi, ha commentato che è molto tempo che non compra Topolino, e che solo qualche anno fa perderne un numero gli pareva una cosa gravissima, e poi mi ha raccontato del film che è andato a vedere con la scuola, al Festival del cinema africano.
«È stato bellissimo, struggente», ha detto.
Il film è The First Grader, una coproduzione Uk-Usa-Kenya (per via del fatto che la Gran Bretagna cerca di fare i conti col suo passato coloniale…) che racconta la storia di un ex combattente Mau Mau il quale, a 84 anni, decide di andare a scuola, perché vuole imparare a leggere e a scrivere allo scopo di leggere una lettera che aveva ricevuto anni prima.

La storia delle sue difficoltà di inserimento nell’ambiente della scuola è l’occasione per presentare flash-back nei quali parlare del suo passato; delle torture che ha subito.
«Mamma, hanno fatto vedere che puntavano la pistola alla tempia del figlio, e poi gli sparavano. Io non ho guardato, mi son coperto la faccia con le mani, non ce l’ho fatta, mi veniva da piangere. Gli inglesi gli avevano ucciso tutta la famiglia, e poi una volta, mentre in classe sta andando al cestino a temperare una matita, gli viene in mente che tanti anni prima un ufficiale inglese gli aveva rotto i timpani con la matita. Così, vedi?» (e fa il gesto). «Pum. E poco prima gli aveva detto ‘Ehi, amico, adesso ti farò qualcosa che ti farà sentire bene’. Capito che schifoso?».

Ho capito anche perché voleva i soldi per Topolino.
Ognuno di noi è quel bambino che una mamma ha cullato. Ognuno di noi, ogni tanto, ha bisogno di essere cullato.

Ma io non riesco a cullare più mia madre.