il brand-scampia

«Non appartiene a questa amministrazione il diniego di autorizzazioni che riguardano le varie attività culturali e comunicative, ma siamo stanchi di vedere Scampia ridotta, anche sul piano dell’immagine e non solo nazionale, a territorio di conquista della camorra in lotta, come se a Scampia non esistesse altro al di fuori delle piazze di spaccio e della faida dei clan.
L’ho detto e lo ribadisco: Scampia è anche una cittadinanza attiva e democratica che quotidianamente, nella sua vita normale, porta avanti e fa vivere il valore della legalità.
Scampia è anche la rete di associazioni e di scuole impegnate sul territorio e che sono, per mezzo delle loro attività, un presidio di legalità e di alternativa sociale alla devianza.
Scampia è anche il quartiere pilota della raccolta differenziata porta a porta che qui abbiamo voluto sperimentare nel piano di ampliamento e che è arrivata al 70%. Scampia è anche l’insofferenza dei suoi abitanti, in maggioranza per bene, esasperati dal vedere il loro quartiere raccontato (e anche sfruttato) come brand mediatico negativo».

Questo dice il sindaco di Napoli De Magistris a proposito del fatto che il presidente della municipalità di Scampia ha negato a una società che fa parte – leggo qui – del gruppo di Sky l’autorizzazione a girare a Scampia «Gomorra 2», una fiction che recupera porzioni del libro di Saviano non confluite nel film.

La società di produzione replica attestando – si trova sempre allo stesso link di prima – che sull’operazione c’è il bollino di garanzia-Saviano:

«[…] la serie è quanto di più lontano dalla rappresentazione positiva della camorra, anzi dà nel racconto grandissimo spazio a quei personaggi positivi del territorio che sono le altre figure del mondo di Saviano, quelli che lottano per cambiare le cose.
Il film di Garrone aveva dovuto necessariamente sacrificare una parte di questi personaggi che invece vengono recuperati e raccontati nella serie.
Lo stesso Saviano, che sta collaborando alla preparazione, tiene moltissimo a queste figure, alcune delle quali sono ispirati a personaggi veri che abbiamo avuto modo di conoscere e apprezzare in questo periodo di preparazione della serie».

La società di produzione, insomma, è perfettamente interna alla logica su cui De Magistris – e, prima di lui, per esempio, Tosi a Verona, ma anche la sindachessa di tre amministrazioni fa, Michela Sironi – basa la sua patetica difesa dell’«immagine» (santa pace) del territorio: «No, tranquillo», dice in sostanza la produzione. «Non ne venite fuori male, anzi. E poi c’è Saviano in persona: lui tiene tantissimo a che escano questi personaggi positivi».
Roba che se per caso Scampia fosse stata destinata a venirne fuori malino, be’, allora De Magistris avrebbe avuto piena ragione, anche se a conti fatti fosse emersa una descrizione sufficientemente aderente alla realtà ma non abbastanza positiva…

Saviano argomenta qui la sua replica al presidente della municipalità e a De Magistris:

Mi domando, ma davvero è possibile bloccare il racconto di un territorio? Davvero è possibile bloccare il racconto di un territorio dove negli ultimi mesi è riesplosa una guerra per il controllo delle piazze di spaccio?

Saviano ha ragione: non sarà bloccando le riprese che succederà qualcosa (anche se mi fa sempre piacere dire che fra giornalismo e «racconto»/narrativa dovrebbe pur esserci qualche differenza).
C’è una cosa, però: ciò che De Magistris contesta è il fatto che Scampia sia diventato un «brand mediatico negativo».

E io non posso dimenticare che Saviano ha potuto prestare il suo volto e le sue parole a decine di «battaglie civili» non necessariamente in virtù di una sua specifica competenza sui temi (testamento biologico, legge-bavaglio, manifestazioni degli studenti contro il governo Berlusconi, Battisti sì-Battisti no, processo breve, primarie in Campania, Sakineh, no al segreto di Stato, «siamo tutti osservatori»…) esattamente in virtù del fatto che la sua identità pubblica si è costituita come «brand mediatico positivo», portatore di verità, semplicità, moralità, semplicità, ecumenismo, equidistanza, neutralità (del Bene)…

Non è un po’ tardi, ora, per rendersi conto degli effetti collaterali di una «brandizzazione» del mondo della quale si è stati partecipi, e in modo estremamente attivo?
Non è singolare realizzare adesso che le cose sono un po’ più complesse di uno slogan, che una realtà piegata alle esigenze dello show dove il mondo è diviso in indiani e cow boys non esaurisce il regno del possibile?