i down, le donne, l’aborto e la felicità

caldoMi è capitato, passeggiando su Twitter, di imbattermi in un video.
È quello che c’è qui sopra.
(Questo era ieri. Oggi, puntuale, arriva anche Repubblica, con il suo «tema caldo»).

Si intitola ‘Cara futura mamma’.
L’associazione che si chiama Coordown spiega che il video è la risposta all’email di una donna. Questa mail qui:

Sono incinta. Ho saputo che mio figlio ha la sindrome di Down. Ho paura: che genere di vita avrà il mio bambino?

Nel video, alcuni ragazzi Down di varie età spiegano a questa donna, su una dolce musica di pianoforte, che non deve avere paura, perché un figlio con la sindrome di Down, cara futura mamma, può fare tante cose, come abbracciarti, correrti incontro, parlare e dirti che ti ama, andare a scuola come tutti, imparare a scrivere, scriverti se un giorno sarà lontano, viaggiare, aiutare il padre a sistemare la bicicletta; potrà lavorare e guadagnarsi il suo denaro, e con quel denaro invitarti a cena fuori, o affittare un appartamento per andarci a stare da solo.

Certo – ti spiegano questi ragazzi del filmato – a volte sarà difficile, molto difficile, quasi impossibile.

Ma non è così per tutte le mamme?

Cara futura mamma, insomma: tuo figlio potrà essere felice. «Come lo sono io», dice una ragazzina. «E anche tu sarai felice», dice un altro ragazzino.

E giù sorrisi.
E abbracci, fra ragazzini Down felici e madri felici di ragazzini Down felici. Fino ai titoli di coda – quanto sole! Quanta luce! – che dicono che

«le persone con la sindrome di Down possono avere una vita felice. Insieme possiamo renderlo possibile».

La cosa più curiosa è che lo slogan della Giornata Mondiale della Sindrome di Down, il 21 marzo, è «Tutti hanno il diritto di essere felici».

La prima cosa che mi è venuta da dire è anch’io. Anch’io ho il diritto di essere felice. E il fatto che io non abbia la sindrome di Down non autorizza nessuno a ritenermi felice per semplice possesso delle idonee precondizioni.

Quello che la frase «tutti hanno il diritto di essere felici» non dice – e in effetti non dice «abbiamo», ma «hanno» – è che chi non ha la sindrome di Down è più facilmente felice, e che il preconcetto contro il quale dovremmo combattere è che una persona con la sindrome di Down è «meno felice» delle persone che non hanno la sindrome di Down.

Ma che argomento bizzarro.
Per convincere una donna incinta a non avere paura, le dicono che una persona con la sindrome di Down «può» fare un sacco di cose (non «fa» un sacco di cose; «può» farle), e «può» essere felice esattamente come una persona senza sindrome di Down.

Non sapessi, per averlo visto nei miei genitori, cosa significa attraversare il dolore di capire che hai un figlio diverso da come l’avresti voluto, e per giunta «visibilmente» diverso, penserei quasi che la campagna è azzeccata.

Ecco perché quel video mi dà così fastidio. Perché ve(n)de quel che vuole ve(n)dere: Down felici, mamme di Down felici, e il resto che si fotta.

Raramente mi è capitato di provare un fastidio più intenso di quello che ho provato guardando questo video.

Chi l’ha costruito è riuscito a sbagliare tutto lo sbagliabile.
A cominciare dal fatto che la donna che si racconta abbia scritto quella mail viene sempre definita «futura mamma», e mai «donna incinta».

Una donna incinta può decidere di abortire. Una futura mamma no.

Il video sembra fatto apposta per far pensare che una donna che decidesse di abortire perché non si sente in grado di sopportare il dolore di un’esperienza alla quale non si ritiene abbastanza attrezzata compirebbe un gesto di eugenetica.

Non solo: una così avrebbe anche negato il diritto all’esistenza a tutti quei ragazzi tanto carini che parlano nel video. Quelli felici. I Down felici; quelli che vanno a scuola (come tutti gli altri), che vanno a vivere da soli, viaggiano.

Ecco.
Chiunque può certamente fare quel che crede, ovviamente; auspicabilmente credendo in quel che fa.
Qualunque donna desideri condurre a termine una gravidanza sapendo che il figlio che metterà al mondo avrà la sindrome di Down o un altro genere di condizione svantaggiata ha ogni diritto di farlo.

Ma questo filmato è un’ingiuria alla realtà.
Conosco decine di ragazzi con la sindrome di Down che non lavoreranno mai, non viaggeranno mai, non andranno mai a vivere da soli.
Per quel che ne so io, la condizione più ricorrente è questa, anzi: non quella della persona con sindrome di Down che questo filmato costruisce.

Sono completamente d’accordo con la necessità che a chiunque vengano date le stesse opportunità, e che a chiunque di noi vada riconosciuto il diritto di perseguire per proprio conto e con l’aiuto degli altri il massimo grado di felicità, benessere e autonomia possibili.

Questo, però, non vuol dire che nel caso di una condizione di handicap si possa con leggerezza dipingere un quadro nel quale tutto quel che resta della realtà è un agglomerato dolciastro e moralista di tre o quattro frasi: «A volte sarà difficile, molto difficile, quasi impossibile. Ma non è così per tutte le madri?».

No.
Lo giuro.
È così per chiunque viva.
Chiunque a volte trova che la vita sia quasi impossibile.
Non «tutte le madri» e basta.

O vorreste farci credere che chi non ha la sindrome di Down, non è madre di un figlio con la sindrome di Down, o non è madre affatto non attraversi mai l’esperienza dolorosa del percepire la vita come un percorso «quasi impossibile»?

Mi domando su quale pianeta vivano le persone che hanno realizzato il video.

Di almeno uno dei ragazzini che parlano ho avuto la sensazione che non stesse capendo fino in fondo quel che diceva. Lo so: posso sembrare cinica e aspra; ma se davvero non capiva, che senso ha farci credere che capisca?

E soprattutto: che senso ha farci credere che la vita ha senso solo e soltanto se si è felici?

Se io sapessi che un figlio di cui sono incinta ha la sindrome di Down, probabilmente abortirei; non posso saperlo, ma credo che abortirei.
Ma veramente l’argomento della sua felicità, negata oppure possibile, influenzerebbe la mia scelta?
Veramente la faccenda è così semplice?

Basta davvero dire a una donna «non ti preoccupare, tuo figlio sarà felice», o anche solo «tuo figlio potrà essere felice», e questa donna sceglie di non abortire?

E se questo video, invece di essere un inno alla possibile normalità delle persone con la sindrome di Down, fosse un video contro l’aborto?

Mi domando come si possano diffondere false speranze, caramelle di consolazione, cucchiaini di miele, senza domandarsi quanto può costare tutto quello zucchero e quel facile pathos.

Io non ho alcun dubbio che esistano persone con la sindrome di Down felici. Certo che hanno il diritto di esserlo. Certo che ci sono persone con la sindrome di Down che vivono da sole, studiano, si laureano.

Esistono anche giornalisti intelligenti, in effetti.
Anche scrittori simpatici.
Esistono perfino fascisti con il cuore d’oro.

Ma non è che questo autorizzi qualcuno a dire che tutti i giornalisti siano intelligenti, tutti gli scrittori simpatici e tutti i fascisti abbiano un cuore d’oro; o che valga la pena di intrattenersi a chiacchierare sempre e con tutti i giornalisti, tutti gli scrittori e tutti i fascisti, perché possono essere intelligenti, o simpatici, o avere il cuore d’oro.

Molte persone con la sindrome di Down non sono autonome, e non possono restare a casa da sole. Non viaggiano. E quando vanno a scuola non ci vanno «come tutti», ma – tanto per cominciare – con un insegnante di sostegno e con speranze di riuscire negli studi ben diverse da quelle della gran parte dei loro compagni di scuola.

Molte persone con la sindrome di Down finiscono le loro vite in un istituto. Certo: anche molte persone non Down, è vero. Ma, almeno, non ci finiscono solo perché muoiono i loro genitori.

Questo video mi risulta sconvolgente.
Credo che sia uno dei documenti più ipocriti, moralisti e beffardi in cui mi sia mai imbattuta.

Nessuno vuole togliere a una madre la gioia di essere madre di un figlio o di una figlia con la sindrome di Down, è ovvio.
Ma nessuno dovrebbe nemmeno lasciare credere a una donna incinta che lo slogan «tutti ‘hanno’ il diritto di essere felici» debba bastare a farle decidere di portare a termine la sua gravidanza.

È come se di fronte a un bambino terrorizzato dal terremoto non gli si dicesse che la casa è stata costruita con criteri antisismici, ed è perciò ragionevolmente sicura, ma ci si limitasse a dirgli che la casa potrebbe anche non cadere, e diventare la casa nella quale troveranno ospitalità un sacco di sfollati.

C’è una bella differenza.
Non so. Questa campagna di comunicazione sociale mi lascia molto perplessa.

***

Aggiornamento del 10 agosto 2014:

Toh.
La Francia dà ragione a me.
Non solo: il pezzo del Corriere che ne dà notizia esplicita esattamente lo stesso sospetto che a suo tempo era venuto a me, ovvero che si trattasse, consapevolmente o no, di uno spot contro l’aborto: «Un messaggio teso a dare coraggio alle donne poste davanti all’opzione dell’aborto terapeutico».
http://www.corriere.it/cronache/14_agosto_09/francia-vieta-spot-down-associazioni-siamo-discriminati-8cd03c12-1fb3-11e4-bae3-3369389f55f4.shtml
Cara mamma della bambina Down,
Non le è affatto vietato dire che lei e sua figlia siete felici.
Quello che le è vietato è far credere alle donne che hanno scoperto di essere incinte di un figlio down che ***anche*** loro ***saranno*** felici.
Perché il fatto che anche loro ***potrebbero*** essere felici è ben chiaro, a quelle donne.
È questa la tragedia che stanno vivendo: credere a quelle che, come lei, dicono «oh, che bello avere un figlio Down», o credere alla loro paura.
Lei, signora mamma della bambina Down molto felice, non è la misura del mondo.
E lei, giornalista del Corriere che dice che le persone Down possono avere una vita normale, dice un’idiozia clamorosa: la vita di una persona Down non è mai «normale», ammesso che esista qualcosa di simile a una vita «normale».