legge 40, sentenza e ricatto

una_personagginaNotizia: la Corte costituzionale ha riconosciuto l’illegittimità costituzionale del divieto di fecondazione eterologa nei casi di infertilità assoluta.

Cos’è la fecondazione eterologa: è il ricorso alla donazione di gameti esterni alla coppia (ovociti, spermatozoi o entrambi) per ottenere una fecondazione in vitro e il trasferimento nell’utero di una donna ricevente [definirlo «impianto» significa non avere capito come funziona la fisiologia della riproduzione] dell’embrione o degli embrioni (in genere, al massimo due) che dovessero essersi creati, e dovessero essere sopravvissuti a tre-cinque giorni di «maturazione».

Cosa dice la «vecchia» legge 40 a proposito dell’eterologa (Articolo 4, comma 3):

È vietato il ricorso a tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo.

All’articolo 9 viene specificato che:

1. Qualora si ricorra a tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo in violazione del divieto di cui all’articolo 4, comma 3 [leggi: nei casi in cui si sia fatto comunque ricorso a una fecondazione eterologa, ragionevolmente all’estero], il coniuge o il convivente il cui consenso è ricavabile da atti concludenti non può esercitare l’azione di disconoscimento della paternità […].

2. La madre del nato a seguito dell’applicazione di tecniche di procreazione medicalmente assistita non può dichiarare la volontà di non essere nominata […].

3. In caso di applicazione di tecniche di tipo eterologo in violazione del divieto di cui all’articolo 4, comma 3, il donatore di gameti non acquisisce alcuna relazione giuridica parentale con il nato e non può far valere nei suoi confronti alcun diritto né essere titolare di obblighi.

Cosa significa la sentenza: a rigore, la Consulta dovrebbe avere stabilito l’incostituzionalità dell’articolo 4, comma 3, lasciando inalterato tutto il resto della legge (a parte, ovviamente, l’inciso dell’articolo 9 «in violazione del divieto di cui all’articolo 4, comma 3», perché quel divieto non esiste più).

Dunque, l’eterologa rimane possibile per le stesse persone per le quali la legge 40 rendeva possibile l’omologa.

Quali?
Leggiamo.

Innanzitutto,

Il ricorso alla procreazione medicalmente assistita è consentito qualora non vi siano altri metodi terapeutici efficaci per rimuovere le cause di sterilità o infertilità.

In secondo luogo,

Il ricorso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita è consentito solo quando sia accertata l’impossibilità di rimuovere altrimenti le cause impeditive della procreazione ed è comunque circoscritto ai casi di sterilità o di infertilità inspiegate documentate da atto medico nonché ai casi di sterilità o di infertilità da causa accertata e certificata da atto medico.

E infine,

Possono accedere alle tecniche di procreazione medicalmente assistita coppie di maggiorenni di sesso diverso, coniugate o conviventi, in età potenzialmente fertile, entrambi viventi.

Perciò: cosa resta, se a quest’architettura viene sottratto il principio che la fecondazione eterologa è vietata?

Questo: che la fecondazione eterologa è consentita alle coppie di maggiorenni di sesso diverso, coniugate o conviventi, in età potenzialmente fertile, entrambi viventi.

Quali altre specificazioni occorre considerare?
Queste:
1. che il padre un figlio nato da donazione di gameti alla quale abbia prestato consenso non può disconoscere la paternità di quel figlio;
2. che la madre di un figlio nato da donazione di gameti non può fare quello che la legge consente alle donne che partoriscono un figlio nato da gameti propri, ovvero disconoscere la maternità;
3. che il donante non ha alcuna relazione giuridica con il nato da fecondazione eterologa.

Il quadro sembrerebbe chiaro.

Purché maggiorenni eterosessuali coniugate o conviventi, le coppie infertili viventi la cui infertilità sia certificata da un medico e non sia altrimenti risolvibile hanno il diritto di accedere alle pratiche di fecondazione assistita eterologa.

I limiti di età non sono fissati: si parla solo di persone in età potenzialmente fertile. In molti Paesi stranieri, il limite d’età è stato convenzionalmente fissato – e in qualche Paese nemmeno in modo tassativo – a 50 anni.
È poco chiaro cosa succeda se una donna di 51 anni o più abbia ancora l’ovulazione, il ciclo mestruale e sia dunque ancora «potenzialmente fertile» benché in età probabilmente definita come «non fertile» in via convenzionale.

Bene.
Quando la Corte costituzionale pronuncia una sentenza di accoglimento di questione di incostituzionalità, quella sentenza ha efficacia erga omnes, ovvero per tutti coloro che soggiacciono all’ordinamento, dal giorno successivo alla sua pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale.
Lo dice l’articolo 136 della Costituzione italiana.

Sembrerebbe facile.

Ma invece, ecco cosa risponde alla sentenza il ministro berlusconiano della Sanità Beatrice Lorenzin.

L’introduzione della fecondazione eterologa nel nostro ordinamento è un evento complesso che difficilmente potrà essere attuato solo mediante decreti.

Evento complesso…
Non solo dopo la sentenza della Corte costituzionale non è necessario alcun decreto (ma perché i giornalisti non lo dicono?), ma va anche detto che a un osservatore che conosca la legislazione di altri Paesi la complessità risulta infinitamente poco chiara: questa, in questa situazione, può essere una materia complessa solo se si presta attenzione a quello che in effetti il ministro berlusconiano della Sanità dice poco dopo:

Ci sono alcuni aspetti estremamente delicati che non coinvolgono solamente la procedura medica, ma anche problematiche più ampie, come ad esempio
[1.] l’anonimato o meno di chi cede i propri gameti alla coppia e
[2.] il diritto di chi nasce da queste procedure a conoscere le proprie origini e la rete parentale come fratelli e sorelle.

Cosa sta dicendo, il ministro berlusconiano della Sanità Beatrice Lorenzin?

Alcune cose molto importanti:
a) la faccenda è complessa, dice. Cioè, non illudetevi che la sentenza della Corte costituzionale possa avere efficacia erga omnes come dice la Costituzione. Qua ci sono io e comando io, anche sulla Costituzione;

b) posto che le parti in cui la legge 40 stabilisce l’impossibilità di rinunciare al rapporto di filiazione con un figlio nato da donazione di gameti non sono state dichiarate incostituzionali, cosa pensa il ministro berlusconiano della Sanità Beatrice Lorenzin? Pensa di dire che si pone una questione di «anonimato o meno» del donante. Dove la mia preoccupazione sta tutta nell’«o meno»;

c) che chi nasce da una fecondazione eterologa ha «il diritto» – attenzione: il diritto. Lo ha deciso lei, ma lo chiama «diritto» – di conoscere «le proprie origini»; addirittura «i propri fratelli e sorelle».

Perché quello che dice il ministro berlusconiano della sanità Beatrice Lorenzin è inaccettabile:

a) la faccenda non è complessa.
La Consulta ha detto che quella parte è incostituzionale; tolta quella parte, non si crea nessun conflitto con altre leggi dello Stato tale per cui il Parlamento possa sentirsi in dovere di intervenire.
La legge 40 stabilisce già che non è possibile rinunciare alla filiazione.
La legge 40 stabilisce già che «il donatore di gameti non acquisisce alcuna relazione giuridica parentale con il nato e non può far valere nei suoi confronti alcun diritto né essere titolare di obblighi». Altro che «fratelli e sorelle», signor ministro.
Nessuna di queste affermazioni entra minimamente in conflitto con la sentenza.

b) Parlando di «anonimato o meno» e definendolo come (mammamia) una «problematica più ampia», il ministro berlusconiano della Sanità Beatrice Lorenzin minaccia di introdurre in Italia l’obbligo/facoltà di rendere conosciuta alla coppia ricevente/al figlio che dovesse nascere dalla coppia ricevente a seguito di donazione di gameti l’identità del donatore, cosa che a mia conoscenza accade solo in Gran Bretagna (e questo, peraltro curiosamente, produce un esodo di coppie britanniche in Irlanda, dove l’aborto non è legale ma la fecondazione eterologa sì, anche se per un vuoto normativo e non con intenzione).

c) Il ministro decide di definire autonomamente, per sua scelta, «diritto» ciò che l’ordinamento di altri Paesi civili almeno quanto l’Italia definisce invece diversamente (la legge spagnola, per esempio, impedisce la notorietà dell’identità del donante, a meno che non si verifichino problemi di salute tali da renderne necessaria la conoscenza).
Il ministro si prende l’intollerabile libertà di dire che si tratta di «diritto di conoscere le proprie origini, la propria «rete parentale», i «propri fratelli e sorelle».

Ora.
Se, come dice la legge 40 nella parte in cui non è stata abrogata e non entra in contraddizione con nessun’altra legge dell’ordinamento, i donatori di gameti non possono avere alcuna relazione giuridica con il nato, come si permette, lei, di dire che il nato da fecondazione eterologa deve poter conoscere la sua «rete parentale» e «i suoi fratelli e sorelle»?

L’unica sua rete parentale è quella dei genitori che la legge gli riconosce per tali.
La rete parentale è quella formata dalle persone che lo amano, si occupano di lui, lo considerano parte della loro famiglia.
L’altra si chiama eventualmente «consanguineità»; non «rete parentale»; men che mai «fratelli e sorelle».
E abbiamo già visto che la legge 40 non consente l’instaurazione di alcuna relazione giudirica sulla sola base della consanguineità.

Il ministro berlusconiano della Sanità sta forse pensando di cogliere l’occasione fornita dalla Corte costituzionale per dare una nuova mano di marrone all’intera legge 40, o sta solo parlando in libertà?

C’è un altro elemento che mi fa impressione.
Chi è, la Lorenzin, per decidere che le «vere» origini di una persona sono quelle che piacciono a lei?
Chi è, la Lorenzin, per decidere che coloro che la legge riconosce come genitori non siano «veri» genitori?

La Lorenzin ha qualcosa da dire, forse, anche sulle persone adottate?
Pensa che anche loro abbiano delle «vere» origini e della «false» origini? Che anche loro abbiano dei «veri» fratelli e sorelle?

Perché la Lorenzin pensa che due persone adulte non possano decidere che la persona che nasce dalla loro unione sia a tutti gli effetti figlio loro, figlio carnale, per il solo fatto che l’ovocita o lo spermatozoo di partenza non sono parte del corpo di uno dei due genitori ma di un donatore o di una donatrice consenziente e consapevole?

La verità è che la Lorenzin sta solo cercando di prendere tempo, di impedire l’applicazione della sentenza erga omnes.
Sta cercando di fregarci.
Sta cercando di estenuare il Paese, le coppie infertili.

Già prepara le basi per un dibattito parlamentare che forse si farà, forse no, e chissà se ora o fra sei mesi o fra un anno.

E intanto, i centri di procreazione assistita a cui la sentenza di oggi dà il diritto di procedere con la fecondazione eterologa sono costretti a stare fermi.

In teoria, potrebbero tranquillamente procedere.

Ma se il ministero della Lorenzin decide di ordinare ispezioni a tappeto nei centri che procedessero così come la sentenza consente loro di fare, chi garantisce a quei centri che l’esito dell’ispezione consentirà loro di continuare a operare?

Basta poco, eh.
Basta un sistema di aerazione non conforme.
Basta un bagno troppo piccolo.
Basta una faccenda di distanze.
Basta una ricevuta fuori posto.

Basta poco, e tu chiudi.
Ciao ciao.

Chi si andrà a mettere nel mirino del ministero della Lorenzin?
Semplicemente, tutti soggiaceranno al ricatto implicito, e non faranno un accidenti. A meno che non si crei un clima tale per cui ogni ritardo nell’applicazione della sentenza sia percepito come intollerabile. A meno che i medici italiani, costretti a restare al palo, non si decidano finalmente ad agire da lobby.

E intanto, le coppie infertili si dannano l’anima.

Vanno all’estero.
Si impoveriscono.
Piangono (sì: piangono anche gli uomini), fanno notti in bianco, stanno male.
Ma tanto, a lei che importa.

Tutto questo è inaccettabile.

E per carità umana tacerò di monsignor Renzo Pegoraro, che – cancelliere della pontificia accademia per la vita – si preoccupa (caro) delle ripercussioni che la fecondazione eterologa può avere «per l’equilibrio della coppia».
Che pensiero gentile.