la finzione? che sia edificante

Il Poldark del 1975, memorie del sottosuolo

Il Poldark del 1975, memorie del sottosuolo

La notizia è che durante lo sceneggiato Poldark trasmesso dalla BBC – il rifacimento di un vecchio «Poldark» che andò in onda in Italia nei tardi anni Settanta – c’è una scena in cui Poldark, il protagonista, non ascolta le proteste della personaggia Elizabeth e decide di fare sesso insieme a lei.

Sul Guardian di oggi c’è un pezzo in cui una sceneggiatrice critica pesantemente questa scena, definendola come una scena di puro e semplice stupro.

Questa critica mi mette pesantemente in difficoltà.
Dove la facciamo andare a finire, la libertà della creazione finzionale?

Siamo veramente chiamati a scrivere/leggere/guardare solo scenette edificanti di amori consensuali, o anche – concede benevolmente la sceneggiatrice – di stupri che tuttavia ci facciano pensare che il personaggio in questione è un orrendo stupratore?

By modern standards, that is a rape, clear and simple,” she said. “I just think in the current climate it’s not really acceptable – it wasn’t quite a Trumpian pussy-grab but it was still uncomfortable, because you weren’t supposed to think any less of Ross Poldark at the end of that scene”

Ovvero: «Secondo gli standard attuali, quella è la scena di uno stupro puro e semplice. Nel clima attuale questo non è accettabile, penso: non era esattamente un attacco sessuale alla Trump, ma era comunque una scena che mette a disagio, perché presupponeva che alla fine lo spettatore non fosse indotto a modificare nemmeno un pochino in negativo il suo giudizio su Ross Poldark».

Ora.
Poldark è uno sceneggiato in costume, e francamente non mi stupisce affatto che risulti inadeguato agli «standard moderni».

A meno che non vogliamo che i personaggi del diciottesimo secolo si conformino ai comportamenti che noi giudichiamo edificanti secondo i nostri «moderni standard».

“You’re supposed to understand and think: ‘Oh well, she was asking for it,’ and that’s the problem, because it’s the same thing you hear applied to women every day and often in even more unpleasant circumstances. And that’s the major problem here – the person who did this is supposed to be the hero of the piece and there will be no comeuppance for him forcing himself on her. That’s extremely problematic.”

Alla fine della scena, insomma, lo spettatore – secondo la sceneggiatrice Lisa Holdsworth – è indotto a credere “oh, beh, in fondo lei ha avuto quello che voleva”, e – dice la Holdsworth – il problema sta qua, perché questo è esattamente ciò che accade quotidianamente in relazione alle donne, e anche in circostanze ben più sgradevoli (invito a notare il preziosismo dell’espressione: quasi che aver detto «stupro» un paio di volte fosse già un’esagerazione). E il problema principale – dice la Holdsworth – è che la persona che ha fatto questo è l’eroe della faccenda, e non andrà incontro a nessuna punizione per aver fatto violenza su di lei. Questo – conclude – è estremamente problematico.

Certo che lo è.
Lo è nella misura in cui siamo chiamati a leggere con gli occhi di oggi ciò che si riferisce al diciottesimo secolo.

Il problema, per come la vedo io, non è che a me e alla Holdsworth e alle charities britanniche che hanno formalmente protestato non piaccia lo stupro né nel XXI né nel XVIII secolo.

La questione sta nel fatto che forse nel XVIII secolo si sarebbero trovate poche persone – purtroppo – disposte a sostenere che le donne avessero diritto di parola nell’accettare il loro compagno sessuale.

La questione sta nel fatto che, anche se perfino per gli standard del 1700 e rotti questo fosse stato uno stupro e buonanotte, uno sceneggiatore conserva comunque il diritto di creare e immaginare quello che preferisce, accettando che ci sia qualcuno a cui questo non piace, per carità, ma anche sapendo che nessuno può mettere in questione la sua libertà di farlo.

Ha ragione la Holdsworth: lo snodo è problematico.
Ma in questo quadro il problema dell’eroe negativo, della complessità dei personaggi e la stessa libertà dell’arte vengono gettati nel cestino corrivamente da un’interpretazione della creazione finzionale come luogo in cui possono vivere solo pezzi di realtà depurata, oppure – al massimo – debitamente censurati e puniti, affinché le masse possano risultarne convenientemente educate.

Quando questa cosa viene da destra siamo tutti giustamente pronti a gridare alla censura.
Quando lo facciamo noi da sinistra, invece, ci va benone.
Noi possediamo conoscenza ciò che è giusto e di ciò che è sbagliato.
E non ci accorgiamo che rivendicando questa capacità di distinguere, di autolimitarci, di limitarci, di censurare, stiamo facendo esattamente quello che non ci piace facciano gli altri: quelli che, magari, vorrebbero togliere i mendicanti dai sagrati delle chiese; quelli che vorrebbero sottrarre alla vista le prostitute
.

Su un altro piano, questo modo di vedere cancella completamente la distinzione fra «persona» e «personaggio».
Mi pare molto grave non solo perché ad annullare la distinzione, in questo caso, è una sceneggiatrice, ma soprattutto perché non è che si applica a una scena di omicidio, ma a una scena di stupro.
Di nuovo, e per l’ennesima volta, esercitiamo la political correctness a proposito di una donna e delle sue relazioni.

Ancora una volta: siccome del corpo, del desiderio, della carne non possiamo parlare se non nella maniera sterilizzata dalla correttezza formale, allora tutto ciò che sta fuori diventa non rappresentabile, non dicibile, non raccontabile.

Non credo di aver bisogno di dire che un no detto in qualunque momento è per me più che sufficiente a definire violenza un contatto sessuale che di quel no dovesse non tenere conto.
Ma da qui a sostenere che non si possa, nella Cornovaglia del diciottesimo secolo, incontrare una situazione che secondo gli standard moderni sarebbe pesantemente criticabile…

A questo punto io provocherei.
Nei film che dovessero ripercorrere le vicende di Guantanamo che facciamo? Le mostriamo, le torture, oppure no?
Sono diventate in qualche modo accettabili?
O sono una pratica da condannare senza esitazione?

Perché se ricorre il secondo caso, la Holdsworth potrebbe ritenere che in un film sulla prigione americana a Cuba non si debbano mostrare le torture.
A meno che, invece, le torture non siano invece accettabili – lo so: sono sgradevole e mi prenderò della fascista – fino a quando non ritraggano una donna nella parte della torturata.

Mi si potrebbe obiettare: ma la tortura è universalmente condannata! Lo stupro no!
È vero che lo stupro è sempre una sciagurata e vergognosa occasione per questionare sull’espressione di consenso che i violentatori ritengono di avere còlto nei no o nei silenzi della loro vittima; ma è anche vero che la tortura non è meno controversa, tanto che l’Italia nemmeno ha una legge che la vieti.

Il fatto è che non si può censurare il male a piacere.
Non si può decidere che nella finzione può trovar posto un certo male, e un altro male no
.

Ma la Holdsworth – e non da sola – pensa, invece, che si possa.

She said: “It speaks to a bigger problem on British television that we’re obsessed with period TV, because it sells incredibly well but women rarely come out of it well, and it is usually told from a very male perspective. It’s problematic and we have to start looking at this stuff and say: ‘Wouldn’t it be lovely if the sexual agency could lie with the woman’?”

Per la Holdsworth, questa situazione è espressione di un problema di portata più vasta relativo alla televisione britannica, ossessionata dagli sceneggiati in costume perché sono seguitissimi: ma le donne ne escono bene molto raramente, e le storie degli sceneggiati in costume sono normalmente raccontati da un punto di vista maschile. Questo crea un problema. Secondo la sceneggiatrice, noi dovremmo cominciare a guardare queste cose e a domandarci se non sarebbe bello che l’iniziativa sessuale potesse partire da una donna».

Ha ragione.
Sarebbe bello.
Forse sarebbe un anacronismo, però. O forse anche no, ma non sarebbe quello che lo scrittore della storia intendeva. No, obietta lei. Il libro originale dice che la scena, non raccontata, viene data per consensuale: per un momento di sesso consensuale fra due persone che si amano da molto tempo.

Ma alla Holdsworth questo non basta ancora:

However, Holdsworth said if Horsfield [la sceneggiatrice dello sceneggiato, ndr] had intended on the encounter being consensual, she should have “made it clear that from the minute Elizabeth throws open the door that she wanted him there”.

Secondo lei, se la sceneggiatrice avesse inteso rappresentare un incontro sessuale consensuale, avrebbe dovuto rendere chiaro che Elizabeth accettava Poldark fin dal momento in cui gli apre la porta.

A me tutto questo sembra l’ennesimo esempio di quanto la censura e il bisogno di ripulire la realtà, di emendarla, di renderla a nostra immagine, stia massacrando non solo la libertà di pensiero, ma anche la libertà creativa e – soprattutto – uno dopo l’altro, gli statuti professionali di coloro che – come i giornalisti – si occupano della realtà e – come (a modo loro) gli scrittori – si dedicano alla finzione.

Ai giornalisti chiediamo di fermarsi prima, perché andare in fondo alle notizie non aggiunge niente alle notizie (oh, questo argomento).
Agli scrittori chiediamo di non mettere in scena cose che urtano la nostra sensibilità.

E se qualcuno protesta, ecco subito arrivare l’argomento che «questo non è il momento storico giusto».

Come se il giornalismo o la finzione avesse il compito di essere edificante, di raccontare mondi che furono passati al setaccio, mondi presenti censurati e mondi futuri positivi: se sempre tenendo conto del momento storico.