diamoci del lei

Perdere la madre ti fortifica e ti rende più fragile.
Come tutte le cose che non si possono affrontare in altro modo se non con la capacità di adattamento, il venir meno di un ancoraggio così solido nel passato ti costringe a prendere atto che ce la stai facendo lo stesso.

Non è una grande scoperta: tutti ce la fanno, quasi sempre, di fronte a qualsiasi rovescio.
Eppure, il rendertene conto ti mostra che sei forte.

Quando sei più forte hai meno disponibilità al compromesso. Vuoi andare a prenderti quello che ti interessa. Non ti nascondi più. Ti viene più coraggio. Sai quello che non vuoi. Cominci a vedere con più chiarezza anche quello che vuoi.

E allo stesso tempo, siccome perdere la madre è un evento da cui non puoi tornare indietro, diventi molto più fragile.
Piangi spesso, per esempio.
Le parole e i gesti delle persone ti feriscono di più.

Ma quando ti senti ferita, ecco che arriva la forza: quella di mandare al diavolo chi ti ha ferita, quella di sottrarti alle situazioni che non ti piacciono.

È per questo che in questa fase della mia vita sono insofferente.

Ho lavorato su di me con intensità e passione. Ho elaborato cambiamenti e lutti. Ho chiesto aiuto. Ho vissuto in situazioni in cui ho imparato a vedere le cose anche in modo strategico, e anche se non ho mai voluto agire strategicamente, lo so fare. Ho imparato il brutto del mondo in molti modi.
Il mondo di Heidi non mi incanta più.

Sono diventata una romantica idealista cinica, malinconica, osservatrice e sfiduciata.

Ho bisogno di un’automobile mia. Ho bisogno di una finestra sull’oceano e sul cielo. Ho bisogno di silenzio e di solitudine.

Mio nonno aveva un motto che mia madre mi ripeteva sempre: «Frequenta le persone che sono meglio di te e pagane le conseguenze»: preparati a dover correre in salita, per esempio; disponiti a imparare da loro.

Mio nonno aveva ragione, come quasi sempre.

Agli adolescenti va benissimo stare con persone che li facciano sentire superiori: l’autostima è così bassa che crea il bisogno di confrontarsi con ragazzi banali, sciocchi e poco profondi.

Io questo bisogno non ce l’ho più da un certo tempo, ma adesso mi sembra di avere il coraggio di prendere le distanze.
Allargo le braccia e mi giro su me stessa. Ecco: adesso, quell’«intorno» deve stare libero.

È il momento del «diamoci del lei». È il momento del «lasciami stare».
Sto diventando grande.
Dice: apperò, alla tua età.
Vero.
Però ce n’è tanta di gente che alla mia età, e pure più tardi, è ancora piccola.

(Non c’è giorno che non ringrazi mia madre per quello che mi ha insegnato per il fatto di essere com’era.
La lunga serie dei suoi difetti mi resta molto chiara davanti agli occhi, come la lunga serie dei miei.
Eppure, una donna piena di dolore, morta di niente o forse di depressione, mi ha insegnato la gioia e la fierezza.

Ho fatto il pieno di gioia e di fierezza).