compensare

immagineOggi avrei avuto dalle 13 alle 15.45 per studiare qui in biblioteca, e dio sa se sono piena di cose da fare.

Ma sono stanca.

Alle mie spalle c’è una vetrata che dà sul prato, e c’è il sole.

Io ho lasciato la mia vecchia vita e sto dando tutto quello che ho in questa cosa del Master che sto facendo qui.

Non ho idea di come andrà avanti la mia vita, e per costituzione fisica sono una che va molto più d’accordo col sogno che col progetto.

Progetto molto, e molto faccio. Ma se al di là del progetto non c’è un sogno io sono perduta.
Quando un sogno si trasforma in progetto io ho bisogno di un altro sogno.

Però è difficile sognare, quando non hai un soldo con cui farlo.
I soldi non sono necessari ai progetti, mi viene da dire. I soldi sono necessari ai sogni.
Non ci ho veramente pensato. Può essere un’idiozia, ma per il momento mi accontento del fatto che se scrivo in italiano le mie dita sulla tastiera si muovono velocissime anche se quel che scrivo è solamente un’idiozia.

Ho in mente un’immagine.

Me su un pezzo di ghiaccio in mezzo al mare freddo.
Sono a galla.
Intorno a me c’è acqua, ma anche altri pezzetti di ghiaccio.

In vista, da qualche parte, c’è anche la riva di qualche Paese che non conosco. A volte però c’è la nebbia, e quando non riesco a vedere niente piango, piango, piango.

Non è vero che quando si sta male si vede nero, secondo me.
Quando sto male io vedo grigio, e tutto sembra uguale. Manca il sole, nessuna cosa che abbia un corpo riesce a proiettare un’ombra a terra.

È questo quello che io vedo quando sto male.

E quando penso che io non so cosa farò, né se guadagnerò di nuovo qualcosa che mi consentirà di sentirmi sufficiente a me stessa, mi convinco che che i momenti di nebbia saranno molti.

Io so da dove vengo, e so che strada ho fatto.
So anche che quel che voglio è vivere grazie alle parole.

Mi manca la strada che c’è in mezzo, anche se probabilmente la sto già facendo.

Però, ecco, il sole che oggi mi batte sulla schiena mi fa male, perché è come se la primavera stesse cercando di dirmi qualche cosa e dentro di me, invece, ci fosse ancora solo spazio per l’inverno.

Io lo so che avere trent’anni e non avere speranze è tremendo.
Ma è brutto anche non avere speranze quando un pezzo della disperazione è collegato alla difficoltà di sentirsi smarrito in mezzo al mondo dopo più di vent’anni di lavoro; in quella terra di mezzo che non è più gioventù e non è ancora vecchiaia.

Se non avessi la stessa età di mio figlio potrei dire che sono matura. Ma sarebbe una bugia, perché ero molto più matura a vent’anni.

Forse hanno ragione alcune delle persone che mi amano quando mi dicono che sto facendo una cosa che sono l’unica a non vedere con le proporzioni che ha.
Mi dicono che è una cosa grande, e forse un pezzo di verità c’è, perché in sei anni ho preso decentemente possesso di una lingua che avevo lasciato in quinta ginnasio, ho pubblicato cose di finzione e un saggio di cui vado fiera, ho lasciato il lavoro (che cosa tremenda), sono venuta a studiare qui, ho gettato mio figlio nella mischia del mondo (e questo non so se sia un bene), ho avuto la vicinanza di chi mi ama.

Quando le cose stanno per finire a me sembrano già finite.
Nutella, pasta, storie d’amore: tutto.

E ora che l’anno di master sta per finire mi sento addosso il lutto di un’altra perdita e mi manca un sogno.
Ho paura di sognare e non ho i soldi per farlo.

Intuisco confusamente che da qualche parte potrà forse esserci qualcosa, ma la vista mi è andata giù, e non vedo bene.

È vero, tra l’altro.
E non l’avevo mai messo in relazione con quello che sto vivendo. Solo con l’età. Ma temo che faccia parte della mia componente pessimistica…

Un occhio vede bene da lontano; l’altro vede bene da vicino.
Fino a poco tempo fa avevo sedici decimi.
L’oculista dice che la mia è la condizione migliore, perché posso sempre compensare.

In effetti, eccomi qui a compensare.
Compenso sempre.

Adesso, però, voglio gli occhiali. Voglio degli occhiali che non cadono e non si sporcano, e vanno bene sia per vedere da vicino sia per vedere da lontano.
E voglio una discesa bella, assolata, con un bel villaggio giù nella radura, da raggiungere lasciandomi rotolare.