la grande elizabeth george

Stavolta non è un libro solo, ma un’intera serie di libri: quelli di Elizabeth George, una bravissima scrittrice americana che tutti – leggendo le sue storie – potrebbero tranquillamente credere inglese e invece viene dall’Ohio.
Per la verità, a Londra la George ha una casa e un pezzo di vita; ma è la passione per quel modo tutto inglese (lo so: è una definizione corriva…) di gestire le relazioni sociali come se fossero un balletto di cui viene normato ogni singolo passo ciò che fa di lei un’autrice inglese a dispetto della sua insospettabile americanità, che d’altra parte non emerge nemmeno nell’uso della lingua e dei giri di frase (a volte – parrà strano – di gusto perfino latineggiante).

I suoi libri sono pubblicati in Italia dalla Longanesi e dalla Tea.
Poiché le storie che racconta fanno parte di un unico affresco – che di recente si è anche arricchito, in Nessun testimone, di una drammatica e inattesa svolta luttuosa il cui senso la George spiega sul suo sito – vale la pena guardare bene sulle prime pagine dei suoi volumi l’anno di prima edizione originale di ciascuna storia, di modo da poterle leggere in sequenza.

Premesse finite. No, anzi: occorre che io ringrazi Aldo Sorlini per avermela fatta conoscere.

Quel che della George impressiona moltissimo è la sua capacità di delineare caratteri e personaggi con una profondità e una ricchezza di sfumature probabilmente ineguagliate negli autori anche da culto di storie noir.
Il nucleo centrale delle sue storie è sulle spalle dell’ispettore di Scotland Yard Thomas Lynley, che (sorprendentemente, per il contesto in cui è collocato) è un austero e rigido nobile inglese perfettamente conscio della scomodità della sua posizione. Al suo fianco, la collaboratrice Barbara Havers (la brutta Barbara Havers, ahimé: in un romanzo la George le dà il ruolo di protagonista della storia, ma neanche in quell’occasione la salva attraverso – che so – un maquillage ben studiato o uno straccetto di dieta anche temporanea): grassottella e combattutissima fra l’accettazione supina del fascino del suo superiore e la rabbia per essere lei così diversa da (e britannicamente inferiore a) lui, che d’altra parte finge di non capire un accidenti di queste dinamiche ma qua e là dimostra di saperla più lunga di quel che racconta. Tanto più che dopo un passato intorbidito da un incidente d’auto che è costato una gamba al suo amico St. James e da una cupa storia d’amore di cui non posso dire niente per non togliere la sorpresa, la morigeratezza di sir Thomas sembra una conquista piuttosto recente e conservata con fatica.

Bella la figura del dottor St. James, zoppo e fiero ma consapevole delle contraddizioni in cui il suo handicap lo conficca. Bellissimi i personaggi femminili «fissi», quelli della saga che continua: oltre a Barbara, anche Deborah la fotografa inquieta e lady Helen Clyde, una specie di Audrey Hepburn allegramente in giro per Londra.
E in ogni libro personaggi nuovi, aspri e complessi, tortuosi e raffinati ma – a mano a mano che li si scopre all’opera – sempre più lineari ed elementari, messi in movimento da ragioni di brutale e scarnificata rozzezza; in ogni libro paesaggi sociologici diversi ma ugualmente appassionanti, ricchi e dipinti con una limpidezza abbagliante.

Anche nei libri più ruvidi (come «In presenza del nemico», la storia del rapimento della bambina di una spregiudicata ed eminente deputata conservatrice), o in quelli più cupi («E liberaci dal padre» o «Agguato sull’isola», entrambi centrati – come d’altra parte molti romanzi della George – su oscure dinamiche familiari), o in quelli di atmosfera quasi gotica (come «Agguato sull’isola»), la sua capacità di condurre per mano il lettore lungo le strade più sconnesse della psicologia umana esclude ogni possibilità di vivere quegli angoscianti sentimenti di inquietudine che suscita, per esempio, la lettura di uno dei romanzi di Patricia Highsmith.

La consiglio con entusiasmo: è una lettura che ti fa sentire come un palloncino gonfiato a elio che volteggia lassù mentre viene tenuto dalle mani affettuose di un bambino.