candide vittime di vili attacchi

Leggiucchiavo i commenti lasciati nel blog di Annozero, dopo la trasmissione di ieri sera dedicata per la gran parte all’omicidio di Verona, e quella lettura mi ha mosso una domanda.

Ma perché ogni volta che qui succede qualcosa, c’è una parte consistente e soprattutto culturalmente egemone di questa città che reagisce rivendicando la propria automatica e sfacciata convinzione di essere vittima candida e incolpevole di un attacco vigliacco e politicamente orientato?
Perché non accetta mai una sola critica? Perché non riconosce mai a nessuno dei suoi critici buona fede, onestà intellettuale e consistenza d’argomenti? Perché chiunque critichi viene ritenuto agire senz’altro per un suo lurido e vergognoso tornaconto, personale o politico?

Mi sembra una sindrome da mania di persecuzione, non so come diversamente chiamarla. Una cosa come la frase di Calimero nella vecchia pubblicità del detersivo Ava (come lava…): «È un’ingiustizia, però! Ce l’hanno tutti con me perché sono piccolo e nero!».
Di differente dall’atteggiamento di Calimero c’è però che il pulcino del Carosello si percepiva un povero sfigato, e questo pezzo di città si ritiene al contrario per definizione, o per investitura divina, nel giusto con la «g» maiuscola.

Mi ha colpito molto la Sciarelli che lunedì sera, intervistando il sindaco di questa città, faceva precedere tutte le domande dalle sue scuse: «Mi scusi, ma sa», diceva. «Io devo chiederle se è vero che lei ha marciato in testa a una manifestazione di naziskin. Mi scusi, glielo chiedo anche per dare a lei la possibilità di spiegare». Ma davvero, durante un’intervista a cui l’intervistato abbia liberamente deciso di partecipare, un giornalista deve chiedere il permesso di fare le domande? Ma se le domande dovessero essere sempre vellutate, a cosa servirebbe mai il giornalismo? Basterebbero gli uffici stampa!

Io non riesco a immaginare – che so – i napoletani che di fronte all’immondizia dicono «eh, il mondo ce l’ha con noi, l’immondizia non c’è, è un’immondizia isolata, e comunque a Napoli c’è un sacco di volontariato, e chi parla male di Napoli è un fascista».
Non riesco a immaginare che alla Jervolino o a Bassolino, per dire, un giornalista del servizio pubblico chieda conto della gestione delle immondizie domandando contemporaneamente perdono per l’apparente ruvidezza delle questioni poste.

C’è tutta quest’idea di lesa maestà, di «come vi permettete», di «tacete, tanto avete perso e abbiamo vinto noi», di «parlate, brutti bastardi: parlate finché potete, cioè finché altri bastardi ve lo fanno fare, quando arriveremo noi, allora andrete finalmente aff******».
Pezzi enormi di città si sentono sotto attacco, insomma: e da sempre, invece di domandarsi se c’è un motivo per il quale tante cose avvengono qui (magari potrebbe anche non esserci, chissà), preferiscono gridare allo scandalo e pestare i piedi a terra.

Ma perché?

p.s. Ad Annozero ho visto quei ragazzini che raccontavano di farsi le canne e le piste e gli acidi e l’esctasy a quindici anni, che dicevano che non vogliono rimanere mai a casa perché a casa si annoiano giacché possono solo abbrutirsi davanti alla tv. E spiegavano che nei fine settimana rientrano alle sei di mattina. Che quando i genitori dicono «ehi, ma che occhi rossi!», loro sfoderano il campionario base di balle spaziali e i genitori si placano.
Nei fine settimana, il mio orario di rientro a casa, quand’ero una ragazzina, erano le 22.30. Se tardavo, doveva esserci un perché preventivamente comunicato, e dovevo essere in compagnia di persone conosciute. E nelle altre sere mica uscivo. E se avessi avuto gli occhi rossi una volta, e due, e tre, e fossi tornata alle sei di mattina una volta, e due, e tre, credo che mia madre avrebbe capito che qualcosa non era perfettamente a posto. Oltre al fatto che in effetti, quand’ero a casa avevo – io come i miei compagni di scuola – un casino di cose da fare, e non è che mi annoiavo così tanto.
E le ragazze che in coda per i provini del Grande fratello dicevano «sì, io per soldi la darei. Che male c’è? Ti diverti e ci guadagni anche!»? Non avevano i volti in ombra, la loro identità non era protetta. I genitori, da casa, avrebbero potuto vederle. Ma loro hanno detto lo stesso quelle frasi. Forse davano per scontato che dal divano di casa mamma e papà avrebbero fatto un applauso.

p.s. n°2 – Segnalo che presto tutti gli uffici del Comune, comprese le sedi staccate, dovranno avere i crocefissi: «Come richiesto dalla segreteria del sindaco», si legge sulla circolare (richiesta di censimento?) fatta arrivare dal settore economato e approvvigionamenti «a seguito della domanda di attualità» (?!) «di un componente del Consiglio comunale, si invitano tutti i dirigenti dei rispettivi centri di responsabilità e i presidenti di circoscrizione a trasmettere con cortese sollecitudine allo scrivente cdr («centro di responsabilità», ndr) l’elenco dei locali comunali di propria competenza ove siano assenti i crocifissi». Tanto vi dovevo.