un bambino, i genitori e l’insulto del potere

La storia è agghiacciante. La si trova qua, qua, qua, e anche qua.

È la storia di un bambino che è nato con una malformazione che secondo i medici è incompatibile con la vita. Tra le altre cose, è senza reni. Eppure, invece di morire subito dopo la nascita come accade a tutti i bambini che hanno come lui la sindrome di Potter, questo piccolo bambino si è messo a respirare da solo.

Ebbene. Senza ascoltare i genitori, senza sentire il loro parere, d’autorità, i medici l’hanno trasferito in un centro specializzato e sottoposto alla dialisi, ma non prima di aver mandato i carabinieri dai genitori a dir loro che la potestà genitoriale era stata loro sottratta.

Sul web c’è una petizione per ridare a madre e padre del bambino la facoltà di decidere.

Forse per l’eco che smuove nelle mie memorie, questa storia mi indigna in modo profondo e radicale.
Tutto quel che riesco a vederci dentro è lo scontro impari fra tre singoli individui e l’enormità di un’istituzione (anzi, due: medici e giudici) che usa il suo potere, che schiaccia violentemente la volontà – senza neppure sincerarsene – di chiunque le si pari davanti. Costringe in difesa.
Costringe le sue vittime a trovare la forza, in una situazione come questa, di parlare in pubblico; di esporsi agli occhi di tutti; di portare il peso di sentirsi non le persone che fino al giorno prima sono state, ma un’occasione contingente di dibattito fra favorevoli e contrari; di diventare «caso».

È intollerabile, immorale.
I carabinieri, hanno mandato.
I genitori avevano chiesto qualche ora per decidere se accettare oppure no le terapie per il figlio, e i medici hanno chiamato i carabinieri.
Questo lo chiamano rispetto per la vita, immagino. Per due adulti alle prese con un’esperienza che sconvolgerà per sempre la loro percezione di sé, però, non c’è nessun rispetto.
È orrendo.
Ma il potere può. Può sempre.
Se si chiama «potere» ci sarà un perché.
Il perché è questo.

«Non mi aspettavo un vostro errore
uomini e donne di tribunale.
Se fossi stato al vostro posto…
Ma al vostro posto non ci so stare».
È De Andrè.