dublino dice no, e neanch’io ho le idee chiare

È difficile capire bene che cosa significhi il no irlandese al trattato di Lisbona.
Ne ho letto spiegazioni molto asfittiche e semplici («gli irlandesi volevano garanzie sul loro regime fiscale»; o «hanno voluto mandare un messaggio al loro governo, che premeva per il sì»), oppure molto larghe e vaghe («la Ue non è vera democrazia, e gli irlandesi l’hanno capito»).

Sul Guardian di oggi, Timothy Garton Ash dice che l’Europa – altro che «piano b» – dopo il no di Dublino dovrebbe prepararsi al «piano d» se non addirittura al «piano e». È incredibile – dice – la differenza fra ciò che accadde quando a votare no al trattato Ue, nel 2005, fu la Francia, e ciò che accade ora: «All’epoca, la Francia disse no, e dunque l’Europa aveva un problema. Ora che a dire no è l’Irlanda, è l’Irlanda ad avere un problema».

Che Dublino un problema ce l’abbia, però, è difficile negarlo, anche se magari il problema non consiste – come qualcuno ha il piacere di credere – nel fatto che i politici hanno spiegato male ai cittadini il testo del trattato.

Il problema c’è eccome. Tanto che il premier Brian Cowen (sensazionale il tempismo che il predecessore Bertie Ahern ha avuto nel presentare le sue dimissioni, un mese e una settimana prima di questo pasticcio) continua a tacere, e lascia trapelare solo che «il punto di vista del governo è che sia decisamente troppo presto per qualunque decisione».
Per l’Irish Independent, c’è nei circoli europei la convinzione crescente che se solo l’Irlanda avrà più garanzie sul fatto che la Ue non l’obbligherà ad accettare la legislazione che autorizza l’aborto (!), le lascerà immutate le aliquote fiscali per le aziende, e le permetterà di rimanere neutrale, allora forse si potrebbe votare nuovamente, e con successo.
Come se i motivi del no fossero chiari, e fossero solo questi tre.

Il guaio è che capire quali sono, invece, a me sembra proprio difficile.
Un editoriale non firmato dello stesso giornale si rammarica del fatto che «tra coloro che dopo il no si sono autoproclamati nuovi amici dell’Irlanda» c’è gente come Jean-Marie Le Pen o come lo United Kingdom Independence Party (nessuna menzione alla Lega nord italiana che ha festeggiato a pinte di Guinness: chissà perché).
Ma «le ragioni per tenersi alla larga da questi tipi sono di gran lunga più profonde» del disappunto per «la loro sgradevole attitudine» (…) «a utilizzare la nostra bandiera come una tovaglia».
La verità, dice l’editoriale, è che in questa gente la gratitudine per il nostro no è mista al disappunto. «Loro vogliono promuovere le loro idee razziste e isolazioniste», mica l’interesse irlandese, «e il voto sul trattato fa perfettamente al caso loro. Ma non fa in alcun modo al caso nostro se gli irlandesi si trovano isolati e nuovamente nel cono d’ombra britannico». Cosa tanto più spiacevole – argomenta l’editorialista – se si pensa che le elezioni britanniche saranno ragionevolmente vinte dai conservatori, cioè dai più inguaribili (o forse dai più tradizionali) euroscettici del continente.

L’International Herald Tribune crede – lo credono in molti, in effetti – «che un altro voto in Irlanda sia quasi inevitabile» (come se gli irlandesi fossero ragazzini impreparati che hanno preso insufficiente nel test di matematica e lo dovessero semplicemente rifare), ma si rende ben conto che essendo questo un processo lungo, nessuno può dire come esso sarà influenzato dall’euroscetticismo di Paesi come la Repubblica ceca e la Polonia.

Il guaio è che le cose son proprio complicate.
Oggi Berlusconi dice cose come «vado in Europa dopo due anni e la trovo diversa rispetto a due anni fa quando c’erano persone come Tony Blair, Aznar, Chirac e io stesso. Con il cambio di nomi l’Europa ha perso personalità, protagonismo e ha fatto dei passi indietro».
Ieri Strasburgo ha portato a diciotto mesi il termine massimo di detenzione degli stranieri senza documenti nei cosiddetti cpt; bocciate le proposte di rendere obbligatoria l’assistenza di un avvocato agli stranieri detenuti; bocciata l’idea che ogni fermo debba venire convalidato da un giudice entro 72 ore; bocciate le maggiori garanzie per i bambini non accompagnati.

Uno davvero non sa se dar ragione ai sì o ai no.
Né cosa augurarsi che accada.