quelli fieri dell’auto-mobbing

Il dipendente non aveva accettato di spalare la neve davanti all’azienda.
Il datore di lavoro l’ha puntato per mesi, dicendogli – cito dal Corriere – cose come «“ti spacco la testa, te ne devi andare, mi stai sul c…., non sei un uomo, sei un ladro di stipendi”; oppure “a me non costa niente licenziarti, invece tu sei un pezzente”; o “quando ti vedo camminare per il mio magazzino mi viene da vomitare, questa è casa mia, mi consumi il pavimento”, “se sei un uomo te ne vai”».
Non pago, ha anche chiesto ai superiori di «“utilizzare pretesti per allontanarlo dall’azienda”, dando l’ordine di non farlo entrare in fabbrica e di “confinarlo” nella sala utilizzata per ricevere i clienti in modo da escluderlo dalla vita quotidiana dell’impresa».

Bene.
Uno dei commenti al pezzo dice questo: «Ho spalato anch’io la neve quando serviva, e ho anche pulito i cessi, anche se non erano le mie mansioni. Dicono che il lavoro non sporca mai (libro Cuore). Bisogna essere un po’ flessibili, si sa che quando si è dipendenti bisogna fare quello che ti dicono anche se non ti piace. Sono umiliazioni da poco, ci sono ben altri rospi da mandare giù, l’importante è avere la paga a fine mese. Questo è forse il mobbing? A me sembra aria fritta».

Bravo.
Ti faranno un monumento nella piazza centrale del posto dove vivi.
Te grande grande e, di fianco, una statua gigante anche al tuo servilismo antisindacalista.

Ma quante sono le persone che per avere uno stipendio rinunciano alla loro dignità, convinte che quella sia l’unica strada?
Quanti sono quelli che si fanno beffe, disprezzano e trattano da permalosetti infantili coloro che si ribellano o ci stanno male?
Quanti quelli che fanno i realisti più realisti del re?
Poi dice che gli italiani sono pessimisti. (Il titolo, peraltro, contiene un’inesattezza: son più pessimisti gli inglesi).
È chiaro che fino a quando i lavoratori si faranno fare tutto questo senza fiatare (anzi: essendone fieri) c’è poco di cui essere ottimisti.

La dignità non dipende dal conto in banca.
Col denaro non ha la minima relazione.
È un’attitudine dello spirito, è un modo di guardare a se stessi.
C’è gente che è convinta che sia proporzionale all’entità dei beni materiali che si possiedono, invece.
Mio nonno andò in Argentina a 16 anni nel 1924 perché suo padre morì lasciando senza sostentamento la moglie e dieci figli.
Fece un sacco di lavori, anche molto umili, ma la sua dignità nessuno gliela portò mai via.
Quando durante il fascismo il suo datore di lavoro gli chiese di usare i fine settimana per aiutarlo a costruirsi la casa lui rifiutò anche se aveva già figli da mantenere.
Li ha sempre mantenuti.
Convinto che la dignità fosse un patrimonio in se stesso.
Altro che pulire i cessi (a meno che tu non sia un puli-cessi per lavoro, ovvio).