uno vale uno

Imagoeconomica_852157«Sono proprio sprovveduti. Questi secondo me erano amanti. L’ho sospettato fin dai primi giorni».
Secondo la Stampa e secondo la Repubblica, i due giornali fratellini, l’assessore all’Urbanistica del Comune di Roma Paolo Berdini ha detto questo. Ha detto che Virginia Raggi e Salvatore Romeo «erano amanti».

Berdini ha poi smentito di avere rilasciato quelle dichiarazioni al cronista del quotidiano torinese, ma il quotidiano torinese riconferma tutto. Non so chi dica il vero, perché non ero presente alla conversazione. Un’idea ce l’ho, ma è un’idea che non salva nessuno.

Comunque: facciamo che il quotidiano abbia ragione, che Berdini abbia veramente detto quelle cose.

Io mi domando come si possa anche solo pensare di pronunciare ad alta voce una frase del genere – «questi secondo me erano amanti» – quando si è titolari di una funzione di responsabilità istituzionale come quella di cui è titolare un assessore.

È il sindaco che ha nominato l’assessore.
Se l’assessore sospetta che il sindaco non sia all’altezza degli standard che l’assessore ritiene siano da rispettare, l’assessore prende un foglio e una penna e firma la sua lettera di dimissioni.

A prescindere dal contenuto diffamatorio dell’affermazione – sposati o no che siano la Raggi e Romeo, resta il fatto «amanti» è di certo una definizione dispregiativa, soprattutto se a questa «amantità» si fa risalire la catena dei benefici suppostamente illeciti che a Romeo e alla Raggi dovessero essere derivati.

E resta il fatto che se Berdini non li ha visti in una situazione in cui la loro situazione di «amanti» era inequivocamente chiara, le sue parole altro non possono essere – a fare i benevoli – che un pettegolezzo.

Siamo tutti D’Avanzo. Vogliamo tutti sapere con chi fanno l’amore i politici, e siamo pronti a chiederne conto.

Ps: se per caso Berdini non avesse mai pronunciato la frase «questi secondo me erano amanti», e quella frase se la fosse inventata il giornale, le cose cambierebbero di poco.
Anche il giornale ha una funzione istituzionale.
Fra le tante cose che poteva inventarsi, inventarsi una relazione sentimentale privata e metterla al centro di una questione politica indicherebbe la totale incapacità di gestire politicamente il suo sguardo sul mondo.

È l’altra faccia di un’altra notizia di oggi, questa.

Parlo del suidicio del trentenne udinese, e della lettera di spiegazioni che i genitori hanno voluto fosse pubblicata dal Messaggero Veneto.

Non ho guardato Fb, ma mi raccontavano che a margine di un post che raccontava questa vicenda, a un certo punto alcuni commentatori hanno chiesto di chiudere il thread (o forse i commenti: non mi ricordo bene) perché altri commentatori stavano parlando del fenomeno in generale e non del caso singolo, cosa che significava, secondo chi ha chiesto la chiusura del thread o dei commenti, mancanza di rispetto della vicenda del singolo.

Ora.
Se i genitori del trentenne di Udine che si è ucciso per il suo senso di fallimento hanno deciso di diffondere la lettera del figlio, per nessun altro motivo possono averlo fatto se non perché sono convinti che la tragedia vissuta dal figlio abbia un senso collettivo, e non sia un dramma che riguarda solo lui e la sua famiglia.

Eccolo lì, il dramma di questi anni: ogni cosa è trascinata al suo livello più basico, quello individuale.
Il piano sistemico, politico, istituzionale, collettivo, è scomparso; e anche quando c’è, esiste con dinamiche di tipo psicologico individuale, tipo «licenziate quello lì, che non fa niente dalla mattina alla sera».

La tragedia collettiva sta qui, mi sembra.
Tutti ci sentiamo Trump.
Tutti pensiamo di dover raddrizzare le gambe ai cani, e non importa se – a zampe dritte – i cani non riusciranno più a camminare e strisceranno tutti sulla pancia come poveri serpenti.