il suo nome è demetrio

il_mio_nome_e_legioneIo sono femmina.
Credo che sia questo il motivo per cui faccio fatica ad aderire per istinto al presupposto (narrativo o morale, non lo so), del romanzo di Demetrio Paolin «Il mio nome è Legione» (Transeuropa).
Demetrio pone con forza – no: con «necessità», proprio l’ananke dei Greci – la centralità del male.
Che abbia la maiuscola o la minuscola non importa: per lui il male è al centro di tutto.

o sole mio

Ora: lo so che ha senz’altro una parte di ragione.
Ma io sono femmina, mi sento naturalmente femmina, e la facoltà che mi è data di dare la vita mi impedisce di pensare che al centro della vita non ci sia – sì, forse – il male, ma anche la ricerca fiduciosa del sole.

elogio della sobrietà

Lo stile è meritoriamente sobrio e lontano da quegli «scapigliaturismi» o dai cedimenti al gotico a cui pure il tema l’avrebbe potuto esporre; ma Demetrio non ci casca, soprattutto perché ha delle cose da dire. Cose sue. E per dire le cose autenticamente proprie non si casca quasi mai in un esercizio di decorazione, credo, a meno che non si sia degli stronzetti malcresciuti. E questo non mi pare il caso.

il male

Però, dette queste poche cose dello stile, io voglio tornare al contenuto.
Sostiene Demetrio – quello del romanzo, che forse è quello della vita e forse no – che il male è ciò che ci consente di amare l’altro. È vero, sì: un essere umano privo del male non è amabile.

il senso del tragico

Io la metterei giù così: che senza il senso del tragico non c’è vera vita. Ci sono chiacchiera, passatempo, diversivo; ma non vera vita, che è condivisione della sostanza tragica.
Senza questa consapevolezza credo sia completamente impossibile anche godere della felicità, per quanto puntiforme la si possa incontrare.

la salvezza

Quel che io non riesco a fare è il passaggio che mi è parso di capire successivo, e cioè «occuparmi» di questo male – mio e altrui, imprescindibile – come ciò di cui è necessario occuparsi per salvare se stessi e gli altri.

il sacro…

Questa dimensione salvifica del male – che è ciò che forse fa dire ad alcuni (anche per il titolo «Legione» e per la presenza di fatti della storia italiana recente, da Moro a Curcio fino a Erika e Omar), che questo è un libro corale e collettivo – io non la so percepire.
Probabilmente mi manca un pezzo del rapporto con il sacro, non so.

… è all’altezza del cuore

Io che del male degli altri mi sono occupata così tanto, nella vita, non riesco a credere alla sua dimensione salvifica. E forse è anche questo che mi frega, oltre alla mia dimensione peculiare del sacro, che io colloco a quote piuttosto basse sul livello del mare, più o meno all’altezza del cuore di una persona.

io lettrice c’entro

Mi rendo conto che scrivo del libro di Demetrio e mi metto a parlare di me.
È che ciò di cui scrive Demetrio non può non interpellarmi come singola individua (o gesu: «individua» è orrendo), con la mia storia per qualche risvolto così simile a quella di Demetrio.
Penso che il fatto che l’autore parli in rapporto uno-a-uno con il suo lettore sia una delle caratteristiche che fa caro un libro a chi lo legge; perciò il fatto che io mi senta interpellata e «inclusa» mi pare una cosa bella.

la critica

Mi resta da dire un’altra cosa.
Nella storia che Demetrio racconta c’è una famiglia, la sua, e sullo sfondo ci sono altre presenze.
È vero che qua e là spuntano echi di critica (al momento non mi viene una parola migliore, ma so che questa è inadeguata) verso la culla della sua infanzia e della sua vita di ragazzino.

umanità solidale

Però è anche vero che – questo a me è risultato piuttosto chiaro, e sbagliarmi mi dispiacerebbe tremendamente – leggendo il libro io ho sentito tenerezza e compartecipazione.
Umanità solidale, ecco; consapevolezza del comune umano destino.

rabbia

Non ho sentito il grido di rabbia di un uomo che vuole crocifiggere il suo passato frantumando la dignità e il calore e la statura delle figure del padre e della madre, su cui pure il Demetrio del libro ha qualcosa da dire.

a scrivere è stato anche un cuore

Probabilmente riesce a «salvarli» tutti proprio in virtù della sua peculiare lettura del male, sì.
Per me lettrice questo motivo – il male che umanizza e salva – è importante perché è la calamita che chiude le due estremità del cerchio.
Ma a me persona femmina non interessano i motivi della salvezza: interessa dire che da questo libro nessuno esce fatto a pezzi.
E io in questo vedo che a scrivere il libro non è stato solo uno scrittore.
A scrivere è stato anche un cuore.

il sangue

Infine: leggo sulla quarta di copertina ciò che scrive Giuseppe Genna: molte cose meravigliose, e anche che questo libro «è un magnete di sangue umano».
Prima di leggere «Il mio nome è Legione», queste parole mi avevano molto preoccupata.
Beh.
Forse le ho «sentite» male io.
O forse è semplicemente che sono femmina: io questo sangue non l’ho visto.
Ne sono felice.

Ps. Non sono riuscita a trovare un’immagine più grande della copertina.