un’intervista a me

Qualche giorno fa, sul blog Sulromanzo, è stata pubblicata un’intervista a me.
Il misterioso Radames – che non intende svelare la sua identità – pone a tutti i suoi interlocutori le stesse sette domande.

Per esempio, ecco qui una delle sue sette domande, e una delle mie sette risposte.

L’avvento delle nuove tecnologie ha mutato i vecchi schemi di confronto fra centro e periferia, nonostante ciò esistono ancora luoghi italiani dove la letteratura e gli scrittori si concentrano? Un tempo c’erano Firenze o Venezia, Roma o Torino, qual è la sua idea in merito?

«Sono totalmente estranea a qualunque luogo letterario, o che letterario pretende di essere.
Ho un’innata e spiacevolissima capacità di sentirmi fuori luogo – e cioè, per dare in prima approssimazione una risposta alla domanda, «periferica» – dovunque e comunque; estranea e outsider in qualunque ambiente.

Detesto le categorizzazioni veloci di genere giornalisticamente digeribile – tipo, per capirci, la «nuova narrativa del nordest» – e il cosiddetto «mondo delle lettere».
Mi danno fastidio allo stesso modo l’autoreferenzialità, l’istrionismo e l’understatement.

Mi dà fastidio la distanza dalla vita vera.
Mi dà fastidio chi crede in se stesso come in un personaggio, o in un prodotto.
Mi piacciono tantissimo le brave persone.
Anche le brave persone che scrivono, e mi pare che ce ne siano.

Mi piacciono le persone che ti si presentano davanti con la loro faccia e la loro storia, curiosi di te e disposti a dirti di loro senza coprirsi con il burqa del ruolo, senza nascondersi dietro le fronti aggrottate dalle enormi preoccupazioni che inevitabilmente fronteggia chi si sente addosso i destini di un mondo sciagurato e probabilmente salvato dalla sua letteratura.

Credo che questo Paese sia morto, e che l’unico pezzo che se ne può salvare siano le relazioni umane fra singoli. Questo significa che se anche ci fosse un luogo in cui gli scrittori – come dice la domanda – si concentrano, ne sarei così diffidente da voler fuggire lontano.
Ma non ho la pretesa di aver ragione, e anzi sarei veramente felice di aver torto».

L’ho fatta un po’ lunga, eh?