medici e farmacisti: quando i lettori fanno «oh»

grate_senza_gratitudineLe parole e la scrittura servono ad aprirsi, ad aprire strade e sentieri nei roveti del mondo.
A costruire vicinanze, a creare relazione, a illuminare frammenti di vita, a dar corpo alle emozioni e materia ai sentimenti.
A sospingere nelle salite, a trattenere nelle discese.

Servono a creare alternative immaginarie dentro le quali passeggiare con il cuore leggero e gli occhi aperti; o trascinarsi con angoscia ad occhi chiusi usando le mani per orientarsi.
A mettersi nelle mani delle persone che leggono.
A prendere posto dietro le parole che abbiamo scritto.

Le mie due adorate maestre delle elementari, e le due fenomenali insegnanti del liceo (le medie, ahimé, hanno finito per non fare testo) mi hanno insegnato che il primissimo dovere di chi scrive è farsi capire, essere inequivoco.
È un imperativo etico. Così me l’hanno insegnato; così l’ho recepito.

Nell’ermetismo c’è autocompiacimento, c’è il gusto del parlare per se stessi con la segreta speranza che le nostre parole visionarie, ruvide e petrose e le nostre sintassi dalle volumetrie barocche o scolpite nel gelido marmo della classicità ci inseriscano nel giro dei letterati veri, mica banane. Mica di quelli che scribacchiano parolette senza alcuna auctoritas; mica di quelli che hanno un’idea stupidamente «democratica» della scrittura.

A me sembra che chi scrive cose non comprensibili sia come quei medici che compilano le ricette pensando direttamente al farmacista, lui sì abituato a decrittare svolazzi e scarabocchi, bypassando il loro paziente.
In altre parole: chi scrive in modo non comprensibile dichiara che il lettore non conta, ma conta il farmacista, ovvero il critico.

Quando poi su quelle parole meravigliosamente criptiche il critico avrà apposto il sigillo prestigioso della sua aurea approvazione (lo farà eccome, perché sa che le parole incomprensibili sono rivolte precisamente a lui, che se ne sentirà interpellato nel profondo e dunque certificherà senz’alcuna resistenza l’eccellenza dell’opera come gesto di riconoscimento/riconoscenza e come atto di cooptazione del recensito, da quel momento in poi assunto al cielo), allora anche il lettore non avrà altra scelta che dire «ooooh» sgranando occhi di meraviglia.
D’altra parte, vuoi non fidarti del medico e del farmacista?

Dentro di sé, nel suo misero cuore di lettorucolo, saprà che non ha capito niente; ma non lo dirà a nessuno.
È uno dei segreti meglio custoditi della letteratura.