in piedi

Si gira.
Lo guarda.
Ha la solita faccia.
Un po’ bianca, ma è la solita faccia.
Glielo dice da settimane: «Fatti vedere da qualcuno, sei bianco».
Lui dice sempre «sto bene, non rompere».

Come al solito, lei tace.
Sta bene, non rompere.

Bianco.
Occhi rossi.

E quando serve, casca per terra.

Dovrebbe aver pietà.
Pensare povero ragazzo, è stanco.

Ma il fatto è che non ce la fa.
Povero ragazzo un cazzo.
Casca per terra quando serve.
«Perché mi dici così?», chiede lui, quello bianco con gli occhi rossi.
Perché sì. Ti dico così perché sì.

«Ma la mia tristezza? Non pensi alla mia tristezza? A quanto dispiace a me cadere per terra quando servirebbe che stessi in piedi?».
No.
Non ho tempo modo spazio per pensare alla tristezza di nessuno.

Lui s’incazza.
Fa l’offeso.
Questa stronza mi vuole umiliare, pensa. Mi vuole umiliare adesso che sono a terra.
Ha ragione.
«Aiutami a rialzarmi», le dice.
«No», risponde lei. «Ci ho provato, ma tu sei rimasto a terra».
«Ma non è colpa mia, ci ho provato anch’io!», dice lui.

Lei gli dà un calcio.
Forte.
Non pensava di essere capace di dare calci così forti.
Sente un crac.
Forse s’è rotto qualcosa, pensa.
Lui urla.
Lei gli dà un’altro calcio.
Nello stomaco, stavolta.
Lui tossisce, sputa: «Non è colpa mia», dice lamentoso, occhi rossi e pelle bianca.

«Vaffanculo», gli dice lei. «Quando io servivo sono sempre stata in piedi».
«Non andartene», dice lui.
«Sì», risponde lei.
Poi si mette il cappotto e esce dalla porta.
Avevo solo bisogno di te, pensa.
Bastava poco.
E adesso tutto è da buttare.
Ogni sforzo mio per restare in piedi.
Ogni fatica.
Ogni tentativo di crederci.

Chissà se due calci bastano ad uccidere.
Speriamo di sì.