patti smith e la mia pelle

Frederick.
Patti Smith.
Pelle d’oca che, adesso mentre l’ascolto, solleva il maglioncino.

L’estate in cui scoprii questo pezzo fu l’estate in cui mi resi conto che ero un essere umano di genere femminile, un essere umano ricoperto di pelle.

Scoprii che ero un’esseressa umana che non aveva fatto nessuna esperienza di se stessa ma – chissà perché – ascoltando quella canzone aveva capito all’improvviso, come in una folgorazione che non era stata annunciata da nient’altro e per molto a lungo ancora da nient’altro nemmeno sarebbe stata seguìta, che quell’esperienza di sé come femmina sarebbe arrivata, e avrebbe avuto un senso relazionale, tattile e carnale.

Non avevo nemmeno ancora uno stereo; l’ascoltavo da un mangiacassette, e mi era ben chiaro – per il senso che comunque avrebbe mai potuto avere – che la donna che la cantava poteva essere qualunque cosa ma certamente non una bomba estrogenica.

Eppure, Frederick, e Because the night, e Easter, e Dancing barefoot – dischi diversi, atmosfere degli stessi colori – mi dissero, mentre ero bambina, che sarei diventata una donna, e che la palingenesi sarebbe stata un’esperienza sensoriale.