una meravigliosa ambiguità

E questo è il tratto generale del racconto: si comprende che la narratrice è estremamente ostile, come ostile sa essere chi con crudele corrività potremmo definire una vecchia zitella; ma in quella spietatezza riconosciamo i germi di una verità che non importa se sia solo nevroticamente autolesionista (perché ci fa male, non salva niente, e ci mette da soli e senz’armi di fronte al plotone d’esecuzione della vita quotidiana) o effettivamente lucida e per così dire storica.

Sicché, leggendo un romanzo ricchissimo perfino sul piano della lingua e del giro di frase, tutto quel che possiamo dire è che ci fa rabbia Barbara e ci fa rabbia Sheba ma le capiamo entrambe; che ci fanno rabbia tutti gli altri personaggi, ma li capiamo tutti. Che vorremmo schiaffeggiarli tutti, ma poi anche prenderci un quarto d’ora per sentirci in colpa e consolarli un po’, per la loro irriducibile meschina umanità che ce li fa fratelli nonostante tutto.

Ho finito da poco di leggere Notes on a Scandal di Zoe Heller (nel 2007 ne è stato tratto un film con Judi Dentch e Cate Blanchett, film che non ho visto), e mi è sembrato un libro veramente bello.
Ricco e appassionante.
Ne vale la pena.

Ne ho scritto qualcosa qui, sulla Bottega di lettura.

Al momento, invece, sono sulla Trilogia della città di K. di Agota Kristof. Segnalazione per la quale ringrazio Maria Stella Conte, della cui Qu mi occuperò tra poco.

Ah. Maria Stella Conte non ha la minima idea di avermi segnalato (no: segnalato è sbagliato; non ha idea di avermi convinta a leggere) la Trilogia…
Lei e io non ci conosciamo.