a dublino c’è il sole alto

A Dublino c’è caldo e io rischio di sembrare Totò che vuole tagliare la nebbia milanese con il coltello (però ho anche vestiti leggeri).

All’aeroporto ho trovato il tassista più apprensivo e gentile dell'(Anglo)celtia.
Non sapeva la strada, mi ha chiesto la mappa, s’è fermato due volte ai bordi della M50 per controllare se stava andando bene, mi ha chiesto se preferivo l’aria condizionata o i finestrini aperti, quando sono scesa si è sincerato che avessi con me tutto: «Ce l’hai il telefono?». «Sì». «Il foulard?». «Sì». «La maglia?». Avevo tutto.
Mi ha fatto anche lo sconto, sant’uomo. Si vergognava di aver avuto bisogno della mia cartina.

A un certo punto siamo passati davanti a una chiesa metodista, credo su Ballinteer Road. C’era un grande cartello blu con una scritta bianca: «Ci sono risposte che non si trovano su Google».
Non lo nego, ma non è che sono proprio sicura che quelle risposte si trovino nella chiesa metodista di Ballinteer Road.
Anyway.

In un parco qui vicino casa ho visto uno scoiattolo.
Alla fermata della metropolitana di superficie una donna mi ha rivolto la parola per chiacchierare. «Bel tempo, vero?», mi ha detto; che come argomento fa tanto Inghilterra. Però poi s’è ricordata di essere irlandese e mi ha raccontato un po’ di cosette, compreso il fatto che al centro commerciale di Dundrum aveva appena perso gli occhiali da vista.

Nel vagoncino ho visto una ragazzina bionda stra-super-mega truccata e vestita come per un casting di qualche show texano, con dei capelli che torreggiavano croccanti sulla testolina. E con uno sguardo così (giustamente) fiero di sé – nonostante tutta quell’armatura era una ragazza bella piena di luce – che avrei voluto abbracciarla e dirle che quello sguardo non deve permettere a nessuno di portarglielo via.

Nel mercato coperto di St. George’s Arcade c’erano una quindicina di adolescentesse in coda allo stand del piercing.

In un negozio fantastico che si chiama Rococo – non ho comprato niente, lo giuro (però ero sul punto) – ho visto un sacco di vestiti deliziosi e alcune ragazzotte cicciottine piene di pacchetti.
Da Avoca, un altro negozio delizioso, c’era la stessa guardia giurata che avevo visto in novembre. È un uomo nei suoi – direbbero qui – mid forties e ha la faccia buona e pochi capelli.

Mi son seduta a mangiare una mela a St. Stephen’s Green, ma sotto il mio sedere c’era qualcosa di molto verde – troppo verde per essere una cacca di piccione (astenersi conoscitori della materia, grazie: sto benissimo con le mie illusioni) – e molto appiccicoso.
Amen, ormai è andata così.
E se proprio dovesse essere merda porta bene.

Mentre l’aereo stava atterrando, ho finito «The Importance of Being Earnest» di Oscar Wilde. Mi è piaciuto moltissimo. Ce l’avessimo avuto in Italia, O.W., gli avremmo rimproverato di usare una lingua troppo semplice, mi sa. Di costruire storie. Di raccontare.
Buoni tutti, gli avremmo detto.
Prova a scrivere qualcosa di Letterario, invece che quei dialoghetti lì tutti superficialini e moderecci.

Beh.
Sono andata all’ufficio del turismo per guardare i depliant delle cose che ci sono in giro per cinema, teatri, pub eccetera (dal 10 al 13 Taste of Dublin agli Iveagh Gardens, per esempio), e cosa scopro?

Che al Gaiety Theatre, dove per tre volte ho visto lo show Riverdance, è in cartellone «The Importance of Being Earnest».
Ho comprato il biglietto im-me-dia-ta-men-te.
Penso che le coincidenze siano fra le cose più entusiasmanti della vita.
Volevo dirlo al tipo del botteghino ma mi sembrava che non gli piacessero gli italiani.

Qui il sole è ancora alto, e in Italia sono le dieci meno dieci di sera.
Rosemary sta per andare a fare una passeggiata. La fa tutte le sere, dice.
Per la circolazione.
Ha una bella casa, e vive sola perché i quattro figli stanno per conto loro e il marito morì vent’anni fa.
A tavola, ovviamente, m’ha parlato di quanti malati e morti di malattie gravi ci sono stati nella sua famiglia.
La cosa strana è che la prima cena di tutte le mie padrone di casa irlandesi ha sempre avuto al centro questa materia: il nesso tra sfiga e salute.
Gliel’ho detto, a Rosemary; e lei m’ha risposto: «Beh, no. Si parla di famiglia».
Non ho avuto il cuore di dirle che se per lei parlare di famiglia è riferire di malattie, questo io lo considero un lapsus (freudiano, tipo).

Rosemary è stata anche a Verona, ovviamente a vedere tre opere (Aida, Carmen e la terza era così bella e ben allestita che non si ricordava il titolo) e a visitare la casa di Giulietta.
È incredibile.
Questa gente viene dall’Irlanda e di Malcesine – dove dorme otto notti – sa tutto, anche quanti ciottoli ci sono, e di Verona – dove passa una sola notte a farla grande, quella dopo l’opera – sa che c’è l’opera e che c’è questa cosa di Giulietta e Romeo. Stop.

Ah. Rosemary non sa chi è Catherine Dunne.
Negli ultimi giorni cominciano a essere un po’ tantini quelli che non sanno chi è Catherine Dunne. In ogni caso, non credo che a Catherine glielo dirò.
Non vorrei mai guastarle il sogno.

Domani mattina mi sa che vado al mercato biologico di Temple Bar (che sia impazzita la Sgaggio?) a mangiare qualcosa che non contenga burro, e poi andrò al Dublin Writers Festival a sentire John Lynch e Paul Murray.
Se poi tra chi legge c’è qualcuno che non sa chi siano questi due, confesso senza fatica che prima di leggere sul programma del festival che parleranno di quant’è difficile fare il secondo libro (il primo ci ha impiegato cinque anni, e il secondo sette) non lo sapevo neanch’io.
Così sgomberiamo il campo dall’idea che me la sto tirando.

Ah.
Postilla.
Il bagno di Rosemary ha le tende che oscurano la luce.
Sono pesantissime, perfette.
La mia stanzina ha tendine leggere ed evanescenti. Entra anche la luce di Sirio, credo.
Ne deriva che mi sveglierò prestissimo.
Tra l’altro alle otto e un quarto del sabato arriva in casa la colf russa che – mi ha detto Rosemary – «will hoover here and there».
Spero che usi l’aspirapolvere più there che here, per esempio.
Ma chi sono io per dare ordini a una russa?

E intanto, in Italia…

Per Vincenzo Vita del Pd, ridimensionare la presenza televisiva di Saviano equivarrebbe a un “ceffone alle battaglie contro la mafia e la camorra“. Intanto, Roberto Saviano chiuderà domenica il Festival dell’Economia a Trento. Introdotto dall’editore Giuseppe Laterza, terrà una lectio alle 18 presso l’Auditorium Santa Chiara che avrà per tema Le mafie che controllano l’economia del Paese.

Mi strucco e vado a letto.
Col sole.