meteor, sirio e la cipolla (più l’ictus)

Che bello, mi sono detta. Son le nove.
Erano le 4.41, e la luce di Sirio era troppo forte perché io potessi continuare a dormire.
Ho comprato una mascherina. Cinque euro e 45 centesimi.
Ho anche dovuto caricare venti euro sulla chiavetta internet Meteor che ieri avevo comprato e – visto il prezzo – ritenuto già caricarata di una quantità sufficiente di denaro. Non era così.
L’Irlanda inganna (l’impermeabilino di Avoca ha un’asola cucita; ho provato ad aprirla e si è un po’ strappata).

E io pago (cit.)

Stamattina, davanti a una tazza di caffè, Rosemary ha completato il lavoro cominciato a cena informandomi che mentre si trovava negli Stati Uniti, qualche anno fa, ha avuto ciò che credo di aver capito sia stato un ictus.
Ho contrattaccato dicendole che secondo me lei è identica sputata a Elizabeth George, la fantastica scrittrice.

Non sono stata onesta fino in fondo: non le ho detto che secondo me la George non è una bella donna, però quel «fantastic writer» l’ha distratta quel tanto che bastava a chiedermi di andare su Google images per farle vedere com’era questa George.
Fatto.

Lei ha tirato fuori le foto di quand’era giovane, e l’ictus è diventato un ricordo.
Mi ha detto solo che non usa più zucchero, e che in famiglia nessuno usa nemmeno il sale.
Non gliel’ho chiesto, ma – non usando essi nemmeno il burro causa colesterolemia – io spero di cuore che facciano almeno un po’ di sesso. È vero che il sesso c’ha zucchero, sale e pepe; però credo che per quella strada essi sfuggano alla digestione.

La testa mi gira come se fosse dentro una trottola e ogni tanto affrontasse dei vuoti d’aria come in aereo. Spero che sia la stanchezza.
Sono a Temple Bar, adesso. Vicino al mercato del cibo. «Live food», scrivono loro su dei cartelli. Cibo dal vivo, insomma. Niente playback.
C’è odore di cipolla, di aglio, di curry.
Anche di formaggio.

Ho adocchiato un banchetto di insalate e credo che mi farò dare un’insalata. In capo a un’oretta devo essere al Project Arts Centre per sentire i due scrittori a proposito del quali ieri abbiamo già appurato che non me la sto tirando.

Stamattina ho conosciuto Irina, la tipa russa dell’aspirapolvere; e una delle mie due ciabatte da viaggio si è inzuppata completamente di acqua perché la doccia di Rosemary perde.
«Oh god», ha detto lei. «Such a shame», «che vergogna».
Minchia. MI pare esagerato.
Le docce perdono, a volte.

Sulla Luas c’era una coppia con una bambina di pochi mesi.
La spalmavano di crema su gambine e braccine perché qui quando vedono il sole sparano le cartucce grosse.
La bambina era bellissima e mi ha sorriso.
Io ho pensato che meraviglia che sono i bambini, che ti sorridono senza un perché, solo perché li stai guardando e loro sono felici di aver messo gli occhi su un pezzo di mondo che si mostra benevolo.

Sempre sulla Luas c’era un’altra coppia. I genitori, a differenza degli altri, non avevano borse Chanel, orologi chic e maniere polite.
Il bambino nel passeggino non rideva.
C’è infanzia e infanzia, forse.
Non voglio far la tragica, per carità; magari il bambino aveva solo le palle girate perché alle 4.41 di stanotte è stato svegliato anche lui dalla luce di Sirio.
Però c’aveva una grugna lo stesso.

Okay. Copio questo file TextEdit sul blog, spengo il pc e vado a mangiare.
Fino ad ora non ho ancora individuato italiani.
Ca*** quanto mi gira la testa.