qualcuno salvi i salvatori di saviano (con piesse)

Benedetta Tobagi scrive questo pezzo sul fatto che la copertina di Max, su cui campeggia una grande foto di Roberto Saviano all’obitorio in guisa di cadavere, è «un pessimo scherzo all’autore che si muove con fatica per un sentiero sottile e impervio: cercare di utilizzare la sua enorme popolarità e il suo indubbio carisma, per veicolare i contenuti di Gomorra e dei suoi contributi successivi» (su un meccanismo come questo io avrei qualcosa da dire, ma tacerò).

«Max», scrive la Tobagi, «rappresenta Roberto Saviano – un uomo di trent’anni, vivo, ma che da quattro vive penosamente sotto scorta, dunque assillato e accompagnato da un’ombra di morte – come se fosse già cadavere. E qui, davvero, ogni limite, non solo di pietas, ma anche di buonsenso, è andato in pezzi. Questa provocazione diventa un termometro per misurare la febbre dei tempi».

Chiedo scusa, però.
Fermi un momento.
Non entrerò nemmeno nel merito dell’argomento, né mi porrò il problema se sono oppure no d’accordo.
Mi limiterò a porre una domanda: questa.

Ma mentre veniva fotografato, Saviano era lì o era altrove?
È stato imbrogliato da qualcuno?
Qualcuno gli ha detto: scusa, Roberto, vieni qui che facciamo una foto su questo bel divano rosso e invece poi s’è ritrovato una foto su una barella da obitorio?
Saviano c’era?
Non c’era?
Era un fotomontaggio?

E se c’era, devo forse supporre – cosa che la Tobagi apparentemente non realizza essere implicita nel suo argomento – che Saviano è incapace di decidere per se stesso?

Perché – se era lì – il problema non è che ci sia qualcuno – un «cattivo»? – che non gli rende un buon servizio.
Il problema, se lui era lì a farsi quella foto, è che è lui e nessun altro colui che – per dirla con la Tobagi – ha «mandato in pezzi ogni limite non solo di pietas ma anche di buonsenso».

È lui che, eventualmente, non rende un buon servizio a se stesso. La mia opinione, da sinistra, è che non stia rendendo un buon servizio nemmeno a me. Ma questa è un’altra cosa.

Se lui era là a farsi fotografare, è lui e nessun altro che diventa un «termometro per misurare la febbre dei tempi».

E questo, per la miseria, è esattamente quel che penso io, e da un bel po’: che Saviano sia uno dei massimi protagonisti della «democrazia della paletta», quella in virtù della quale funziona il meccanismo della delega e non della rappresentanza; quella in virtù della quale la politica muore e al suo posto nasce la rappresentazione.

Se – come dice la Tobagi – la foto è «un termometro per misurare la febbre dei tempi», la fronte di Saviano scotta.

Piesse: su Facebook mi dicono – lo fa Giuseppe D’Emilio; e qui sotto nei commenti me lo dicono Cesare P. e  Giuseppe Sforza: grazie a tutti – che si tratta di un fotomontaggio.

In quel caso (dopo aver chiesto scusa a Benedetta Tobagi per aver scritto che pareva non rendersi conto del fatto che il suo argomento implicava che Saviano non è in grado di decidere per se stesso), la domanda che mi pongo è questa: che sia il caso, finalmente, di interrogarsi su chi sia – veramente – a dominare i meccanismi dell’«enorme popolarità» e dell’«indubbio carisma» che dovrebbero servire a «veicolare i contenuti di Gomorra e dei suoi contributi successivi»?

Che sia il caso di domandarsi, finalmente, se ha senso oppure no pensare che la tv e i giornali lascino uscire «i contenuti» di chi parla, se essi non sono allineati con ciò che la tv e i giornali vogliono esca?

E per essere chiari: non approvo assolutamente il fotomontaggio, e ci mancherebbe altro. Però, veramente: chi domina i meccanismi dell’enorme popolarità? A quali contenuti essi rendono servizio?

Sulla questione interviene anche Saviano in persona: il link è questo.