il venditore stronzo e altri irlandesi

Missing Julia è la storia di un amore fra due persone non giovanissime, ma anche la storia di una scomparsa, e dei segreti che porta a galla. E anche la storia di una scelta.
Lo sto leggendo. Sono curiosa.
Catherine Dunne, ieri sera, alla presentazione del suo ultimo romanzo all’Irish Writers’ Centre, nella «notte della cultura», ne ha letto qualche pagina sotto lo sguardo vigile e affettuoso della sua editor alla MacMillan, davanti a un centinaio di persone, forse di più.
Ho rivisto anche una delle ragazze che in giugno avevano fatto con me il corso che lei aveva tenuto all’Iwc, e ho incontrato di nuovo con piacere Lia Mills, di cui ho frequentato un bel workshop sull’autobiografia.

Dopo la presentazione, c’è stata una specie di party all’hotel Gresham.
Mi piace l’idea di eleganza degli irlandesi; la loro idea di «formale».
Non ha niente a che vedere con la nostra, e si squaglia in una risata scomposta o in un camicione di rayon informe e fiammeggiante.
Si sfalda in una pettinatura bionda senza linea, in un culo orgogliosamente enorme; nella faccia tosta di una donna male in arnese che ti chiede scusa, ma dove lo danno il vino? e se ne va barcollando.


Prima che alla presentazione sono stata con la mia amica Anna da Rococo. Vestiti così belli da non crederci, ma così cari da non potere che guardarli.
Poi sono tornata da Carousel, un negozietto carino di abiti usati (e non) gestito da una ragazza brasiliana sposata con un irlandese (presa, a poco, gonna molto sfiziosa; provata sulla rampa delle scale perché non avevo voglia di scendere ai camerini al piano di sotto. Naturalmente, mentre me la stavo sfilando sono scesi enne tra avventrici e avventori. Ho sorriso con enorme dignità).

Abbiamo visto una mostra bellissima: Potere e privilegio, si intitola.
Foto fantastiche.
Abbiamo visto anche una ragazza che, accompagnata da una banda di percussioni, ballava il samba per strada. La prima ragazza che io abbia mai visto completamente priva di cellulite. Bellissima. Da mangiare. In effetti, fermava il traffico.

Un venditore del mercato di St. George’s Arcade è stato proprio stronzo.
Appurato che noi eravamo italiane, ha cominciato a dir male dei nostri connazionali sputacchiandoci addosso a causa di una sorta di plurima incontinenza orale senile.
Gli uomini italiani non spendono una lira.
Gli uomini italiani sono avari.
Gli italiani badano solo ai soldi (i venditori irlandesi no).
Gli italiani di qui, gli italiani di là.
Pronunciati «aitàlians», e non «italians».

In quei dieci minuti di monologo ho perfino dovuto fare lo sforzo di restare concentrata per capire.
«E adesso», gli ho detto a un certo punto, «come posso dirle che non siamo minimamente interessate ai vestiti che lei vende e che perciò ha perso un sacco di tempo per niente?».
«Fate male a non volere questi vestiti: ne ho venduti 2.800» (mi pare).
«Okay», gli ho detto, «ma quei vestiti non sono adatti a me».
E lui: «No! Vedi? Si allargano! There is plenty of room».
Cioè: ci sta perfino il tuo culone spropositato di italiana di merda.
A quel punto gli ho detto che era un uomo sgradevole.
Ha tentato di scusarsi.
Gli ho ridetto che era molto sgradevole.
S’è ri-scusato.
Ce ne siamo andate.
Anna ha detto: «Potevi mandarlo affanculo».

Giusto.
Lo faccio adesso.
Caro venditore vecchio sputacchione della bancarella schifosa di St. George’s Arcade dei vestiti coi fiocchetti, sono quella di ieri che ti ha sopportato mentre parlavi male degli italiani.
Non piacciono da morire neanche a me, gli italiani; ma mi piacciono ancora di meno i venditori vecchi sputacchioni e stronzi.
Non ho un culone spropositato e merdoso; ho un culo che ha un suo perché, io.
E mi sono dimenticata di dirti che dovresti andare affanculo.
Come dici?
Non capisci l’aitaliano?
Oh, no problem: I’m just saying fuck you, bastard.