voci, pause, conflitto ed ecologia dei media

Torno con l’Aer Lingus. Il che significa che posso tenere la mia borsetta a tracolla fuori dal bagaglio a mano. Il che significa che si libera spazio nello zainetto a ruote. Il che significa che posso comprare libri. Il che significa che li ho comprati.

Qui accanto a me ci sono – stranamente – due volumi di non-fiction.
Il primo è «Voices from the grave-two men’s war in Ireland», firmato dal giornalista e storico Ed Moloney, che nel 1999 fu nominato Irish Journalist of the Year.
Il secondo è – ma che titolo splen-di-do – «The winter of our disconnect» di Susan Maushart, columnist di The Weekend Australian Magazine e producer indipendente per Abc Radio Australia.

Il primo è l’epilogo – ma la prima di una serie di pubblicazioni future – di uno splendido progetto nato al Boston College Oral History Archive on the Troubles in Northern Ireland: i ricercatori del Bc hanno intervistato combattenti dell’Irish Republican Army e dell’Ulster Volunteer Force, con l’intesa che le loro testimonianze sarebbero rimaste protette e segrete fino a quando gli intervistati non avessero scelto di fare diversamente, o fino al momento della loro morte.

Ora Brendan Hughes, amico di quel Gerry Adams presidente del Sinn Fein recentemente approdato al Parlamento dell’Eire, è morto, e morto è pure David Ervine che, figura tra le più importanti dell’Uvf, ha contribuito agli accordi di pace.

Bene.
Entrambi, in questo libro, raccontano la loro storia. Rompono – dice la quarta di copertina – le leggi non scritte del codice d’onore paramilitare e parlano con onestà delle loro vite violente. C’è anche la storia di Jean McConville, dentro. E la famiglia McConville – che ritiene Gerry Adams responsabile dell’omicidio di Jean – ha fatto campagna elettorale contro il capo del Sinn Fein.

Quel che mi incuriosisce, in questo libro, non è solo la ricostruzione storica che offre, e nemmeno solo la restituzione di uno spaccato di vite individuali all’interno di movimenti politico-militari che si possono definire storici.
Dopo aver letto «Torn water» e «Falling out of heaven» di John Lynch, quel che mi affascina è la comprensione delle dinamiche del conflitto civile come stato ordinario della vita collettiva e personale.

L’altra storia, quella il cui titolo fa il verso all’ultimo romanzo di John Steinbeck, è tutt’un’altra faccenda.
Racconta di come, per sei mesi, Susan Maushart ha deciso di disconnettere completamente la sua famiglia dai dispositivi che ci tengono tutti collegati. Un sommarietto del libro dice: «Come tre teenager totalmente connessi e una madre che dormiva col suo iPhone hanno staccato la spina della tecnologia e vissuto per poi potercelo raccontare».

Anche se il titolo del primo capitolo, «Chi siamo e perché abbiamo deciso di premere il tasto “pausa”», è tremendamente accattivante, non avrei mai comprato il volumetto (alla cifra tutt’altro che modica di 14,60 euro) se non avessi letto sulla sua prima pagina che Susan Maushart ha – ta-ta-ta-tàn – un Ph.D. in «media ecology»…

Ecologia dei media!!!
Promette bene!